Il mal di cinema di Luigi Pirandello

I “Quaderni di Serafino Gubbio operatore” rivelano il difficile rapporto con la settima arte

di PASQUALE DE CRISTOFARO

Il 53° Convegno Internazionale di studi pirandelliani, a cura di Stefano Milioto, tenutosi come sempre nel mese di dicembre ad Agrigento, ha avuto come suo focus il romanzo, “Quaderni di Serafino Gubbio operatore”, che quest’anno compie giusto cent’anni dalla sua prima pubblicazione (1916-2016). Libro, questo, molto citato ma poco letto di Pirandello, fondamentale per capire la sua poetica e, soprattutto, il suo rapporto conflittuale e molto problematico col mondo del cinema. Bene ha fatto, dunque, il convegno a impegnare i tanti, numerosi e qualificati partecipanti a restare dentro il perimetro di queste pagine per gettare nuova luce sul suo senso più profondo. I primi decenni del novecento, sono gli anni in cui nuovi bisogni e nuovi consumi culturali si affermano. C’è una domanda crescente di cinema e molti pensano che a farne le spese sarà il teatro. Anche Luigi Pirandello, inizialmente, sembra schierarsi con i detrattori del nuovo linguaggio, indicandone quali maggiori difetti, una sostanziale disumanità e alienazione. Per fare questo riabilita le retoriche del teatro che pure aveva precedentemente indicate, in un orizzonte sostanzialmente ancora idealista, come una deriva e un precipitare dell’unica purezza possibile, e cioè, la scrittura letteraria. Ma facciamo un passo indietro e cerchiamo di capire come “I Quaderni”, diventino nel giro di un decennio un romanzo che farà dialogare il nostro con la più sensibile e avvertita intellettualità europea e che lo indicherà come uno dei suoi maggiori protagonisti.

Innanzitutto, la vicenda compare già come idea in una lettera del 1904 indirizzata ad un suo amico, Angiolo Orvieto. Quello è un anno particolare per l’agrigentino, ha, infatti, da poco pubblicato “Il fu Mattia Pascal” e già pensa a questa nuova storia che titola provvisoriamente “Filauri”. Dopo nove anni, nel 1913, quell’idea è già scrittura pensata per essere pubblicata a puntate sulla “Lettura”, supplemento letterario mensile del “Corriere della Sera” col titolo “La tigre” (titolo dal sapore verista, omaggio, forse, al suo antico maestro Verga. In realtà, una vera tigre sarà protagonista della vicenda). Eccone la sinossi dello stesso scrittore al direttore della rivista: “Il lavoro si impernia sulla passione di un giovine signore napoletano, barone Aldo Nuti, per una strana piccola attrice russa scritturata da una casa cinematografica. Il Nuti si fa attore cinematografico per lei, e per lei muore tragicamente sbranato da una tigre che la Casa ha acquistato per il film: muore, ma prima, dalla gabbia in cui è entrato, e nella quale sarà introdotta la belva, egli, invece che su questa, tira di tra le sbarre sulla donna che sta tra gli attori sorridente ad assistere alla scena, La uccide e poi, senza difesa, si lascia sbranare dalla tigre. La macchina cinematografica intanto ha seguitato a girare ed ora bisognerà mutare soggetto alla film (curiosamente per noi, in origine, film si declina al femminile) per quel tragico, inatteso mutamento di scena, che farà senza dubbio furore”.

Dopo un’iniziale accettazione la pubblicazione non avrà seguito perché, a detta del direttore, le prime puntate smentiscono l’evolversi della trama diluendola in una serie sfiancante di riflessioni amare e “distrazioni dialettiche” del protagonista che sembrano non arrivare mai al punto. Nel 1915, finalmente, la tormentata storia di Serafino Gubbio trova la pubblicazione a puntate presso la rivista “Nuova Antologia”, col titolo “Si gira …”. L’anno successivo, 1916, la pubblicazione con lo stesso titolo presso l’editore Treves. Il titolo definitivo, “Quaderni di Serafino Gubbio operatore”, arriverà soltanto nel 1925, indicandone la struttura divisa appunto in sette capitoli (quaderni) in cui Serafino con sguardo epifanico porta alla ribalta la realtà scomposta e stratificata che lo circonda non riuscendo a raccontarla se non come un “romanzo da fare”. Un clima dissestato e disarmonico per un uomo in fuga che attraverso la scomposizione umoristica sembra aver “capito il gioco” perverso di una vita che non conclude. Con competenza ne hanno parlato tra gli altri: Paolo Puppa, Roberto Tessari, Graziella Corsinovi, Rino Caputo, Sarah Zappulla Muscarà, e Giuliana Sanguinetti Katz.

©RIPRODUZIONE RISERVATA