la mostra

Il lavoro delle mietitrici in venti incisioni di José Garcìa Ortega

José Garcìa Ortega e Bosco, un pittore e scultore spagnolo rappresentante di quel realismo pittorico (di cui uno dei massimi esponenti italiani fu Guttuso) e uomo di grande impegno civile e politico,...

José Garcìa Ortega e Bosco, un pittore e scultore spagnolo rappresentante di quel realismo pittorico (di cui uno dei massimi esponenti italiani fu Guttuso) e uomo di grande impegno civile e politico, e una frazione di San Giovanni a Piro, nel salernitano, protagonista dei Moti del Cilento del 1828. Un incontro, un connubio, forse inevitabile per chi come Ortega dedicò l’arte e la vita a denunciare l’oppressione dei contadini e partecipò attivamente alla Guerra civile spagnola contro lo strapotere franchista.

Sarà visitabile fino all’8 gennaio 2017 (apertura tutti i giorni dalle 16 alle 20) la mostra “Segadores” allestita presso il salone parrocchiale della chiesa di san Nicola a Bosco, venti incisioni della grande suite dei Segadores realizzate nel 1969 e ispirate dalle sofferenze dei lavoratori della terra. Le belle incisioni in acquatinta, acquisite dal Comune di San Giovanni a Piro con un considerevole investimento economico e culturale, rientrano nel programma di riconoscimento di interesse regionale per il Museo “José Ortega”, la casa museo che Bosco ha voluto dedicare all’artista, allestita in piazza santa Rosalia.

Un’occasione anche per preservare la memoria e l’eredità culturale di un artista che a Bosco si trasferì nel 1980 perché, diceva, gli ricordava la sua Spagna: «Sto bene con voi, perché qui ho trovato un’angoscia ed una miseria che sono quelle della mia gente. Perché i colori sono quelli della mia terra. Sono rimasto perché la pelle dei braccianti è scura e secca, come quella dei contadini spagnoli». E proprio ai braccianti dedicò questi suoi lavori, una testimonianza creativa e “sociologica” che rientra anche nella sua concezione estetica, nella sua idea di arte come impegno imprescindibile per salvaguardare i diritti delle fasce deboli della popolazione. «Ci sono dei momenti nella vita dei popoli, in cui gli artisti sentono che un’arte a contenuto rivoluzionario è una necessità. Quindi non più l’arte per l’arte… sentiamo che il popolo ha bisogno di forme artistiche che chiamino all’unione per restituire libertà e democrazia al paese» scrive Ortega. E lui ci riuscì benissimo accompagnando le sue opere, pittura e scultura, ad una testimonianza civile tra le più intense e appassionate del secolo breve. Nato nel 1921ad Arroba de los Montes, iniziò a dipingere a tredici anni, una volta trasferitosi a Madrid, e parallelamente entrò nei gruppi antifranchisti segnando immediatamente la sua vita di uomo e di artista. Incarcerato nel 1952, negli Anni Sessanta si trasferì a Parigi, mentre nel 1964 grazie ad Antonello Trombadori tenne la sua prima mostra in Italia. Trasferitosi a Matera nel 1973 affinò la sua tecnica nello scolpire bassorilievi e solo nel 1976 ottenne di poter ritornare in Spagna dove ebbe modo di esporre a Madrid, Valencia e Bilbao; la morte lo colse a Parigi nel 1990.

La mostra dei Segadores segna una tappa importante della sua produzione creativa, una rappresentazione degli agricoltori a schiena piegata nel lavorare i campi di grano alto che non sublima affatto nell’arte il peso della fatica immane dei lavoratori, ma ne rappresenta tutta l’incombenza con la forza del tratto. Un ciclo che segue la giornata lavorativa, l’alternarsi delle stagioni con un realismo intenso dovuto al fatto che Ortega aveva nella vita lavorato come mietitore, testimone in prima persona della durezza esistenziale nei campi.

L’arte allora esula dall’intrattenimento e diventa testimonianza necessaria.

Lucia D’Agostino

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