Il gusto neoclassico nella cultura urbana di inizio Ottocento

Perfetta integrazione tra l’edificio ed il paessaggio Sovrasta il centro storico, fu venduta all’asta a Tisi

di ENZA SAMBROIA

L’. assimilazione del gusto neoclassico nella cultura urbana fra la fine del Settecento e l'inizio dell’Ottocento rese nuovamente di moda il “vivere in villa”. Seguendo l’esempio della vicina Napoli con le amene residenze del “Miglio d’Oro”, molte famiglie aristocratiche che possedevano palazzi nobiliari nel centro promossero la costruzione di ville sub-urbane ad oriente, lungo la strada che collegava Salerno con Persano (dove era il vanvitelliano Casino di caccia di Ferdinando IV di Borbone), e in aree collinari panoramiche più prossime alla città.

Nella zona orientale la realizzazione di ville con giardino iniziò con l’emanazione del decreto di Murat del 1811 che vietava la coltivazione a risaia dei territori dalla valle dell'Irno al Picentino. Dopo la bonifica, le aree da Pastena fino a San Leonardo diventarono vere e proprie oasi di bellezza paesaggistica ove l'antica nobiltà salernitana andava a riposarsi, rendendo sempre più vive le lotte di classe che infierivano in città. Sorsero così le ville degli Abbagnano, dei Castellomata, dei Ruggiero, dei Cavaselice e quella dei Carrara che ebbe l’onore di ricevere più volte i sovrani della dinastia Borbonica in viaggio verso Persano. Al contempo sulle colline più prossime al centro storico sorsero nuove residenze a volte inglobando preesistenti eremi assegnati o venduti agli aristocratici dopo i decreti di soppressione degli ordini monastici. Ad occidente verso Vietri, sulla via Monti, furono edificate le ville con giardino delle famiglie Giacchetti, Bottiglieri, Caterina, Clarizia; a nord del centro storico, a ridosso delle vecchie mura occidentali, sorsero le Ville Manzo, Avenia, Spinosa. Sulle colline nord-orientali e alle pendici del monte Bonadies trovarono posto villa Spinelli, villa Conforti, villa Punzi e villa Trucillo.

Tra queste Villa Conforti si configura come il più tipico esempio di “culto dell’antichità classica” a Salerno, per la magnifica integrazione fra paesaggio e costruito, per la vista che si gode dal giardino panoramico inglese che sovrasta il centro storico con le due fontane circolari circondate da piante esotiche, per lo stile neoclassico della costruzione con l'imponente loggiato di colonne ioniche.

La famiglia Conforti (dai Conforti Borbone di Parma) compare nel patriziato salernitano nella seconda metà del settecento come attesta la costruzione del palazzo signorile, di bottega sanfeliciana realizzato sui suoli acquistati nel 1740 da Gaetano Copeti posti fra via Tasso e via Trotula de Ruggiero proprio in adiacenza del palazzo Copeta. Fra la fine del settecento e l’inizio dell’ottocento i Conforti avevano saputo imporsi nel territorio per capacità imprenditoriali e professionali che gli avevano conferito grande prestigio sociale e potere di controllo nell'amministrazione della politica urbana. Lo attesta nel 1857 l’acquisizione da parte di Francesco Conforti di un’area pubblica: i giardini della “Villetta Comunale” posta lungo la via dei due Principati nel tratto in cui intersecava la via delle Calabrie, per la realizzazione di un fabbricato con giardino verso il mare, a inizio novecento passato in eredità alla figlia Rosa. Realizzato su progetto dell’ingegnere Michele Santoro condizionò il disegno del tracciato del Corso Vittorio Emanuele di Malpica e Somma del 1863, appaltato, per altro, alla stessa impresa edile Conforti. Nel 1901 sui giardini verso il mare fu realizzato da Giovanni, fratello di Rosa un nuovo caseggiato per residenza e pigioni che completava il lotto lasciando all’interno una corte di servizio. Pure di proprietà Conforti era l'Hotel d’Angleterre, il complesso alberghiero più rinomato e caratteristico della città dato in gestione a Teresa Salvi. L’ascesa dei Conforti si consolida dopo l'unità d'Italia, con una figura di spicco nazionale Raffaele (1804-1880), avvocato, e filosofo, distintosi nei moti del ’48, Procuratore generale della Gran Corte Criminale di Napoli e poi Ministro dell'Interno e Presidente alla Proclamazione del Plebiscito con nomina di Garibaldi nel 1860. Ai titoli politici conferitigli si aggiunge anche il dono di Vittorio Emanuele II che gli assegnava “la proprietà in Salerno dell'intera area collinare, denominata Sant’Eremita per la presenza di un antico eremo sconsacrato a seguito dei decreti di soppressione degli ordini monastici e della loro confisca”. La costruzione della villa iniziò negli anni sessanta dell'ottocento sui siti della laura dell’ordine di Malta realizzata ai tempi di Ruggero il Normanno (1135 circa) da San Guglielmo Vercelli o da suoi discepoli di ritorno dalla Terrasanta. Il progetto architettonico di gusto neoclassico si articola su una pianta regolare di forma rettangolare; il piano interrato eleva la quota del piano primo di circa 2 metri, altezza coperta dalla bella scala circolare a doppia rampa che serve un terrazzo-ballatoio sul quale prospettano aperture con cornici neoclassiche. Il secondo piano presenta in corrispondenza delle aperture del piano inferiore balconi con solette aggettanti e cornice superiore a cimasa. Il prolungamento del fronte verso destra rende la struttura dissimmetrica. In essa si apriva l’accesso ai locali seminterrati, il portale era sormontato al primo piano dalla finestra, al secondo piano dal bel loggiato con affaccio ad est, caratterizzato da colonne scanalate in stile ionico. Il progetto architettonico fu realizzato dall’architetto napoletano Gabriele Giannattasio formatosi nella Bottega di Carlo Vanvitelli.

Dai verbali di una perizia tecnica del 1885, circa l’ipoteca accesa da Matteo Conforti, erede di Raffaele, sui suoli di sua proprietà in Salerno indicati come “S. Eremita e Commenda di Malta”, apprendiamo che la proprietà Conforti si estendeva a nord oltre la collinetta di Sant'Eremita ed era articolata in 4 distinti lotti coltivati ad uliveti, viti ed alberi da frutta; oltre alla villa signorile con giardino all’inglese apparteneva al primo lotto, quello situato più a sud, vi erano poi una casa data in affitto e una casa colonica.

Nel primo Novecento la proprietà viene acquistata all’asta da Vincenzo Tisi di Napoli, marito di Maria Giuseppa Giannattasio figlia dell'architetto Gabriele Giannattasio, con destinazione d’uso ancora di abitazione signorile. Ad opera dei Tisi iniziò quel processo di parcellizzazione del suolo sul colle di Sant’Eremita che vide progressivamente ridursi il terreno annesso alla costruzione, di cui rimane oggi il solo giardino antistante l'ingresso principale. L’edificio riportò in seguito ai bombardamenti degli eventi bellici della seconda guerra mondiale gravi danni.

Nel 1952 l'attività di ristrutturazione e ricostruzione del fabbricato fu motivo di ampliamenti e trasformazioni dovuti alle necessità dettate dalla mutata destinazione d'uso della struttura da villa in albergo-pensione, nei documenti storici indicata come Albergo Villa Tisi, o anche come Pensione Sant’Eremita in ricordo della denominazione originaria. Pur tuttavia la ricostruzione e la nuova edificazione avvenne in stile neoclassico sul progetto revivalistico dell’architeto Francesco Tisi che mantenne anche nella soprelevazione e nell'ampliamento del fabbricato il colore originario: intonaco rosso pompeiano con decori e colonne in bianco. Alla realizzazione dei lavori provvide la ditta C.E.C.A. (Case Economiche Civili Abitazioni) già attiva a Salerno su altri cantieri.

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