Il cibo-spettacolo è diventato simbolo delle fasce sociali

di GENNARO AVALLONE Oggi si parlerà a Salerno del libro “La danza delle mozzarelle”, scritto da Wolf Bukowski per Edizioni Alegre. Il Gruppo di acquisto solidale (Gas) I Cipollotti, insieme al...

di GENNARO AVALLONE

Oggi si parlerà a Salerno del libro “La danza delle mozzarelle”, scritto da Wolf Bukowski per Edizioni Alegre. Il Gruppo di acquisto solidale (Gas) I Cipollotti, insieme al collettivo Riff Raff ed alla rete Communia, ne ha organizzato la presentazione presso il teatro Ghirelli, via Lungoirno, dalle ore 19.30. L'occasione è utile non solo per informarsi e discutere intorno al tema produzione del cibo-società-ideologia, ma anche per stare in compagnia, con il buffet preparato con i prodotti della rete di agricoltori e cittadini Fuorimercato, e partecipare a una iniziativa di solidarietà e intervento socio-politico. Saranno raccolti farmaci di fascia C ed antibiotici per sostenere le attività dell'ambulatorio di Casa Nazareth, attivo nella zona orientale di Salerno e rivolto all'assistenza sanitaria di base a tutta la popolazione italiana e straniera. Un'iniziativa volta a favorire l'accesso alle medicine in una fase storica in cui l'indebolimento delle prestazioni sanitarie pubbliche si accompagna all'impoverimento di parti crescenti della società, soprattutto tra le famiglie senza reddito o con redditi molto bassi, gli anziani e una parte della popolazione immigrata. Questa iniziativa è coerente con le attività del Gas I Cipollotti e con il tema del libro in discussione, centrato sulla produzione e commercializzazione del cibo, perché rovescia il punto di vista dominante. Correttamente, la questione del benessere viene combinata con quella del diritto alla salute a partire dai bisogni sociali e collettivi della popolazione e non dagli interessi privati della grande distribuzione organizzata, delle multinazionali del cibo e dei produttori e intermediari.

Lo stesso libro di Bukowski sostiene la tesi secondo cui questa lunga filiera di imprese capitalistiche antepone il profitto a tutti i costi al diritto fondamentale all'accesso al cibo ed al cibo di qualità. E questo obiettivo lo persegue attraverso verie strategie, tra cui la spettacolarizzazione di ciò che mangiamo, lo sfruttamento dei lavoratori agricoli e degli animali e l'uso intensivo della terra, attraverso, tra l'altro, il crescente impiego di diserbanti, erbicidi, pesticidi e concimi di sintesi.

Collegare diritto alla salute e diritto al cibo costituisce, pertanto, una proposta politica e culturale fondamentale, in una civiltà in cui l'alimentazione è sempre più orientata dal business e dalle costruzioni ideologiche e sempre meno collegata ai bisogni fondamentali delle persone.

Bukowski evidenzia come il cibo sia caricato sempre più di significati simbolici che, combinati con la struttura delle disuguaglianze sociali, contribuiscono a suddividere la società tra quanti, la minoranza, possono permettersi consumi alimentari di lusso, come quelli proposti e promossi dal modello Eataly di Oscar Farinetti, e quanti, la massa, deve accontentarsi dei consumi da discount, se non proprio vivere delle donazioni del Banco alimentare o della Caritas, sebbene le tonnellate (tonnellate!) di cibo mandate al macero crescano di anno in anno. Come scrive Jason W. Moore nel suo recente libro Ecologia-mondo e crisi del capitalismo. La fine della natura a buon mercato, quella in cui viviamo è una società in cui gli alimenti costano, e costeranno, sempre più, come è stato mostrato delle rivolte per il cibo a livello mondiale nel 2008. E questo accade anche perché il cibo, specialmente i beni primari, dal grano al riso, dal latte allo zucchero, è oggetto delle transazioni finanziarie e dei giochi di borsa. E tutto questo non ne aumenta la qualità, mentre la sua produzione continua a basarsi sul super sfruttamento dei lavoratori e delle lavoratrici dell'agricoltura. Questi ultimi, così come gli animali, sono quelli che pagano per primi e più di tutti. Come si può osservare nelle campagne del Sud come di una parte del Nord Italia, e in tante altre parti del mondo, sono i braccianti, gli stagionali, gli operai agricoli, i giornalieri a sostenere, con il prezzo salato ed amaro della fatica e della povertà, l'arricchimento di tante aziende agricole e degli azionisti delle grandi multinazionali dell'alimentazione, da Nestlé ad altre marche note. E non è il modello del cibo di lusso o per i fighetti metropolitani dell'aperitivo pomeridiano e dei "ristorantini" tipici e dei "negozietti" alla moda, propagandato dagli imprenditori di sinistra di Eataly o Slow food, quello che può mettere in discussione questa tendenza che accoppia l'impoverimento - della qualità del cibo, dei lavoratori agricoli e della parte maggioritaria dei consumatori - con la crescita dei profitti privati. Come dice Bukowski, in questo modo i rapporti sociali dominanti vengono solo confermati. Ciò che appare necessario, anche a partire dalle esperienze di autorganizzazione dei consumatori e da esperimenti produttivi come SfruttaZero e Funky tomato, è costruire nuovi rapporti di potere fondati su differenti relazioni di cooperazione tra produzione e consumo, indebolendo la logica che riduce il cibo a merce spettacolarizzata.

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