OPERAZIONE AVALANCHE

I Templi di Paestum simbolo della civiltà furono salvati da Clark

Atto voluto o solo un caso? Il giallo non è mai stato chiarito

CAPACCIO PAESTUM - Sapevano bene, dove andavano a sbarcare. Sulle navi alla rada nel Mediterranea, in attesa dello sbarco, i documentari ci mostrano immagini dei soldati con foto dei Templi tra le mani. La storia dei 170mila uomini degli schieramenti americani, inglesi e canadesi che sbarcarono sulla costa campana in sei spiagge tra Salerno, Battipaglia e Paestum, accelerando il processo di liberazione dell’Italia dalla presenza tedesca è stato fino a oggi sufficientemente studiata. Gli errori di strategia militare hanno ricevuto censure clamorose ed esplicite. Era un golfo ferito dai bombardamenti quello che le armate alleate si trovarono alle ore 3,30. Per il giovane generale Clark , a capo dell’operazione, era fondamentale diventare invisibili camuffandosi nella notte e agire rapidamente per sorprendere il nemico dal Sud e puntare alla presa di Napoli prima e Roma dopo. Tutto così semplice nella sua testa. “Rischio calcolato” spiega un libro in cui sono riassunti gli eventi. Sapeva di muoversi tra vestigia che avevano 2500 anni, culla della civiltà moderna, e di quella democrazia, quella che giustificava il loro intervento militare. La preoccupazione di non fare danni inutili a strutture di nessun interesse militare sembra sufficientemente presente e cosi fu. I bombardamenti a tappeto di Altavilla e Battipaglia e gli incidenti dei mitragliamenti alle fila di popolazione affamata a Serre e Campagna è frutto di ben altra logica. Su Altavilla c’è l’autocritica del generale Walker che ha scritto: “Sono passato di nuovo da Altavilla oggi. Le case sono distrutte, le strade sono bloccate dai detriti, c’è ancora puzza di cadaveri. Il bombardamento di questa città, piena di famiglie abbandonate, fu brutale e senza alcuno scopo. La popolazione è poverissima, inconsapevole, molto religiosa; tutta immersa in un immane dolore, con il terrore sui volti”. A Paestum, a Capaccio, i danni furono davvero limitati. Anche i soldati sapevano bene dove andavano a sbarcare. Vestigia che avevano oltre duemila anni, i documentari d’epoca mostrano i soldati sulle navi, in attesa dello sbarco, mentre ammirano i dépliant turistici che mostrano i templi di Paestum. Per il giovane generale Clark, a capo dell’operazione, era fondamentale diventare invisibili camuffandosi nella notte e agire rapidamente. Tutto così semplice nella sua testa. Eppure ci volle quasi un mese e un grosso sacrificio di uomini prima che l’Operazione Avalanche potesse considerarsi riuscita, mettendo a segno uno degli episodi chiave per la risoluzione del conflitto mondiale. “Si comportava come se Paestum gli appartenesse”. Era il 1981 quando il professore Mario Mello , professore di storia romana all’università di Salerno e conoscitore di Paestum, è negli Usa per organizzare una grande mostra sulla città dei templi. E proprio qui incontra il generale Mark Clark, il comandante dell’operazione Avalanche che dall’8 settembre 1943 mosse dal mare di Paestum. I templi con i loro venticinque secoli di storia erano il simbolo di una civiltà che esigeva rispetto da ambo le parti. Non avevano problemi i tedeschi, gli scopritori di fatto delle vestigia pestane e gli inventori dell’archeologia moderna. Gli americani impegnarono la Mobil Archaelogical Unit che si distinse per le scoperte del Gaudo e della necropoli di Santa Venere. Si andava all’attacco delle colline circostanti sulle quali i tedeschi si muovevano da padroni. Altavilla Silentina, prima di tutte. I cannoni impegnati furono quelli della Marina e questo contribuì a tenere fuori l’area archeologica, fin dai primi momenti, dal grosso dei combattimenti. “Calculated Risk” era il titolo del libro di Clark che ha raccontato questa parte di combattimenti. Clark narra delle preoccupazioni del Comando delle truppe Alleate per i templi. I piani per la battaglia ne tennero conto. “L’ampia pianura solcata dal Sele, e dalle altre vene d’acqua, in più punti ancora selvosa, coronata di monti che nascondevano gli apparati e le insidie della difesa nemica, attraeva e minacciava il poderoso spiegamento di forze che veniva dal mare”, scrive Mello in “Paestum – ricerche di storia antica dagli scritti 1962 – 2011)”. “Su Paestum vantiamo un credito”, disse più volte Clark ai suoi collaboratori che avevano l’incarico di raccordarsi con il docente universitario venuto dall’Italia. “La mostra non fu realizzata – racconta Mello - Egli era il perno del progetto, e il rapido declinare delle sue forze lo bloccò”. Nel 1983, per la celebrazione del 40esimo dello sbarco, avrebbe però voluto tornare a Paestum. I medici glielo impedirono. Voleva venire a prendersi quei meriti postumi che in cuor suo sentiva di avere. Fu vero merito? O fu il caso ad essere benigno? Diverse chiese, tra le quali quella del Granato, ebbero un destino diverso e furono colpite dalle bombe. Fu lo stesso Clark a organizzare una gigantesca colletta tra le truppe e a portare direttamente il ricavato all’allora vescovo di Capaccio.

Oreste Mottola