«Ho ancora tutta la voglia di un ragazzino»

L’artista ha da poco compiuto 92 anni, gli amici gli stanno preparando una grande festa con il suo amico Peppe Barra

SALERNO. È il decano degli artisti Mario Carotenuto, 92 anni compiuto lo scorso 4 settembre. Ma i festeggiamenti per lui andranno avanti ancora nei prossimi giorni. Gli amici gli stanno organizzando una festa, da farsi insieme all’attore Peppe Barra, suo amico di sempre.

Maestro Carotenuto. Perché preferisce la dicitura di pittore a quella di artista?

«Perché artista è generico. Il pittore è colui che dipinge, per me la pittura è tutta la vita».

Come ci si sente dopo i novanta?

«Ma l’età è solo un fatto anagrafico. Solo il corpo se ne accorge, dentro mi sento sempre come quando ho cominciato a dipingere, con la stessa voglia di ricominciare ogni giorno daccapo».

Qual è l’ultimo libro che ha letto?

«Un bellissimo testo di Roberto De Simone sui riti sacri della costiera amalfitana».

Tra i poeti lei ha conosciuto Pasolini e Rafael Alberti.

«Pasolini lo conobbi in una libreria, durante una sua visita a Salerno. Mi colpì la sua timidezza, oltre la maschera di provocatore e di autore di Scritti Corsari. Alberti venne nel mio studio ove parlammo a lungo e feci per lui anche un ritratto: una figura straordinaria, sembrava vivere fuori dalla realtà e mi riconduceva a Picasso. Le poesie di Alberti, insieme a quelle di Alfonso Gatto, sono quelle che amo di più».

C’è anche un Carotenuto scrittore. Le piace vergare a mano i suoi pensieri.

«Dai tempi di “Consigli a un giovane pittore” non ho mai smesso di scrivere. Diari, taccuini, riflessioni sulla pittura e sulla bellezza, sulle cose che mi accadono. Forse un altro modo di dipingere, con la penna delle parole».

Il posto di Salerno che ama di più?

«Io non sono nato a Salerno ma a Tramonti. Ho vissuto sempre qui, non saprei quale posto scegliere, forse le Fornelle. Non quelle di oggi ma quelle selvagge di un tempo: una sorta di quartiere arabo, quasi un suk, un mondo sospeso e separato dal resto del tessuto urbano, un borgo di pescatori nascosto a pochi metri dal mare. E poi la vicina chiesa dell’Annunziata, uno dei simboli della città, per la quale ho realizzato anche delle opere».

Le dispiace che Salerno non abbia ancora una Galleria Civica dedicata agli artisti?

«Un po’ sì, anche perché ha un patrimonio artistico non trascurabile: Tafuri, i Costaioli, un lungo elenco che arriva fino ai giorni nostri. Come luogo deputato ad ospitarla vedrei bene il complesso di S. Sofia, ormai è il palazzo delle arti».

Sul suo cavalletto c’è una tela ora?

«Certo. Sto dipingendo un quadro per un amico. Ho dipinto per gran parte dell’estate, riposandomi anche molto».

Paolo Romano