Hillary e la dynasty a stelle e strisce

L’ultimo libro del vicedirettore del Tg1 Rai Gennaro Sangiuliano è dedicato all’ex first lady americana

di BARBARA CANGIANO

Da Goldwater girl a prima candidata donna alla presidenza degli Stati Uniti d’America. Tra morti oscure come quella dell’avvocato Vince Foster, il caso Lewinsky e i reiterati tradimenti del marito Bill Clinton, passando per i collegamenti con il Watergate, fino all’ultima inchiesta dei giornali Usa emailgate, il vicedirettore del Tg1 della Rai Gennaro Sangiuliano, traccia il profilo di una donna tanto carismatica quanto discussa. “Hillary - Vita e potere in una dynasty americana”, edizioni Mondadori, è il titolo del suo ultimo libro che riammaglia storia, informazione, aneddoti, ricerca, per raccontare a tutto tondo l’ex first lady già segretario di Stato nell’amministrazione Obama.

Sangiuliano, perché proprio Hillary Clinton?

Mi sono spesso dedicato ai personaggi di attualità. “Il Quarto reich” scritto con Feltri, di fondo è una biografia di Angela Merkel. O “Putin. Vita di uno zar”. Anche se Hillary è la grande sconfitta delle ultime elezioni, è stata uno dei personaggi più significativi della politica degli ultimi 40 anni. Il suo primo incarico risale al 1972, quando, da giovane e brillante avvocato della Yale University entra nello staff che si occupa dello scandalo Watergate. Da allora è stata first lady dell’Arkansas, first lady degli Usa, responsabile della riforma sanitaria con rango di ministro, senatrice di New York per due mandati, segretario di Stato e candidata alle primarie per Obama.

Per certi versi un simbolo.

La ritengo l’icona della parabola di una generazione. Mi riferisco a quei ragazzi nati nelle Università americane nel periodo delle lotte contro la guerra in Vietnam, al ritmo delle canzoni di Joan Baetz, che dallo spinello sono passati alla gestione del potere, fiancheggiando i poteri forti. Restando in tema, una chicca: Hillary da giovane era repubblicana.

Donna di potere, affabulatrice, determinata e calcolatrice. Come spiega la sua sconfitta?

Sia chiaro. Hillary ha preso due milioni e 800mila voti in più di Donald Trump. Non è stata eletta perché il meccanismo americano ha altre regole. Credo che abbia perso per la sua antipatia e la sua presunzione, innanzitutto, consegnando a Trump la vittoria. Un fatto epocale, che io giudico come il terzo stadio di una triade hegeliana composta anche dalla Brexit e dal no al referendum italiano. Sono tre momenti di ribellione popolare-populista alle grandi angosce che ha creato la globalizzazione nel mondo. C’è poi da tenere presente che non è stata una lotta tra due persone, ma tra due paradigmi del nostro tempo. Da una parte il tentativo di fuggire dalla globalizzazione, dall’altro il paradigma dialettico di quella classe politica che pensa di configurare modelli teorici e poi di calarli nella realtà. Trump, a differenza di Hillary, ha saputo ascoltare e tendere un orecchio al basso. Ma c’è ancora un aspetto da tenere presente. Non è stata votata dalle donne, come stanno recentemente evidenziando le indagini demoscopiche dei giornali Usa. La donna media americana non ha accettato il messaggio che lei ha trasmesso, cioè l’aver venduto la sua dignità per fare carriera.

Si riferisce ai tradimenti di Bill?

Pensi che sono diciotto solo quelli accertati e a conoscenza di Hillary, tra cui il più eclatante è quello con Paula Jones, diventata celebre per la causa civile per danni per presunte molestie sessuali subìte dall’ex presidente Clinton. Come ha teorizzato Niccolò Machiavelli, non sempre etica ed efficienza di potere vanno insieme. Lei ha certamente l’efficienza e la competenza, per il resto giudicherà la storia. Un dato è certo. Senza Hillary, Bill non sarebbe esistito. Lui fu eletto nel 1978 governatore dell’Arkansas. Nel 1980 si andò alle urne e fu sconfitto dall’ondata reaganiana. Cadde in depressione e fu lei a trarlo fuori dal tunnel: se non lo avesse fatto, Clinton avrebbe certamente abbandonato la politica. E fu sempre Hillary a costruire la rete di alleanze e soprattutto a trovare cospicui finanziamenti che lo porteranno alla Casa Bianca nel 1992. Da qui la definizione Billary per indicare il sodalizio.

Una regista nel ventre dell’establishment...

Assolutamente. La sua parabola personale ripercorre la storia e le vicende di una nazione. E come scrivo nella introduzione del mio libro, le conclusioni sono ancora tutte da scrivere.

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