Salerno

Gugliucci interpreta Fiorello La Guardia: «Era un eroe vero» 

L’attore salernitano nei panni del sindaco di New York. Tra i suoi progetti un lavoro su Totò e una casa a Napoli

SALERNO . Era il 1918 quando un folto gruppo di soldati volontari italo-americani giunse sul fronte di guerra a dare una mano ai soldati italiani contro l’Impero Austro-ungarico. Tra loro vi era il giovane Fiorello La Guardia, di padre pugliese e madre triestina, un giovane dal carattere forte, che negli anni a venire sarà sindaco di New York: ancora oggi è ritenuto, negli States, il più grande sindaco americano.
Una vicenda, quella di La Guardia, che viene raccontata, dagli ultimi mesi del conflitto e sino al 1933, nel film “Noi eravamo”, per la regia di Leonardo Tiberi e la sceneggiatura di Salvatore Merola, protagonista il salernitano Yari Gugliucci (foto); il materiale utilizzato è dell’Istituto Luce. Il film è in programma solo oggi al Cinema San Demetrio alle 18, alle 20 e alle 22 con S.O.Solidarietà Onlus. Presenti il regista Tiberi, il critico Rino Mele e Yari Gugliucci.
Gugliucci, in America Fiorello La Guardia è un mito che ancora resiste, ma in effetti chi era?
Credo che sia un eroe vero. Nella guerra contro l’Austria lui sente lo spirito italiano che lo chiama a combattere accanto agli italiani. Poi, da sindaco di New York, si trova ad affrontare una sorta di Tangentopoli, famosa la sua frase all’insediamento “E’ finita la cuccagna”. Si trovò ad affrontare la grande crollo di Wall Street del 1929, insomma un uomo basso fisicamente, ma dalla statura morale, politica e sociale enorme. Un leader, un comandante.
Personaggio complesso, che lottava il gioco d’azzardo, ma era anche contro il proibizionismo. Quali sono state le difficoltà incontrate nell’impersonarlo?
Le difficoltà sono state di tenere sempre “La guardia alta”. Lui era sempre un po’ accigliato, un giocatore di sfondamento, un capo ed io non avevo mai impersonato un leader: questo è stato il mio primo ruolo di comando. Una sfida fondamentale per un attore.
Ma “Noi eravamo” che genere di film è?
Dalla sceneggiatura si evince subito un forte senso di patriottismo. Oggi abbiamo smarrito certi valori, si pensa più al mezzo gaudio che al mal comune: La Guardia sarebbe impazzito. Non dimentichiamo che quei volontari vennero a morire solo perché avevano sangue italiano. Credo che quel “noi eravamo” dovrebbe tramutarsi in “noi saremo”.
A cosa, attualmente, sta lavorando?
Sto lavorando su Totò, una sfida che parte a settembre. E’ un lavoro teatrale di Aldo Manfredi ed è un omaggio al Principe a 50 anni dalla morte. Un lavoro che non vuole raccontare l’inimitabile Totò, ma Antonio De Curtis, malinconico, poetico. Cosa che mi interessa molto di più, perché raccontare l’artista è impossibile.
Hai molto impersonato personaggi napoletani e meridionali…
Sto pensando di trasferirmi da Roma a Napoli, perché mentre Roma langue, in Campania vi è un forte risveglio d’arte.
Quale è il suo sogno nel cassetto?
Fare Totò è già un sogno nel cassetto. Quando mi dicono che posso fare Totò per quella malinconia che si portava dentro, per me è la realizzazione del sogno…
Perché è malinconico?
Assolutamente sì! Interpretare tanti personaggi è come sfogliare di volta in volta un fiore e far cadere un petalo. Uscire da un ruolo ed entrare in un altro comporta abbattimento, quando prendi elementi non tuoi, il cuore va in tilt.
Vito Pinto
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