Gli incendi dei boschi “garanzia” per la politica corrotta e le mafie

Cilento, Vallo di Diano, Valle dell’Irno, monti Picentini, monti Lattari, colline al confine con l’Irpinia: da sud a nord della provincia di Salerno sono stati giorni infernali per il patrimonio...

Cilento, Vallo di Diano, Valle dell’Irno, monti Picentini, monti Lattari, colline al confine con l’Irpinia: da sud a nord della provincia di Salerno sono stati giorni infernali per il patrimonio boschivo. Le montagne che circondano l’Università, ad esempio, sono da molte e molte ore sotto assedio del fuoco, nonostante gli elicotteri antincendio si diano un gran da fare. Mette tristezza vedere decine e decine di focolai, alberi bruciare con falò visibili a parecchi chilometri di distanza, annusare malinconicamente nell’aria di Salerno, Fisciano, Forino, San Severino, l’odore del fumo che distrugge la natura.
Che il Salernitano sia l’area più colpita della regione Campania è – ahimè – un fenomeno storico ricorrente e notorio. Prendo solo un dato di riferimento, piuttosto emblematico: nel 2013 il 40% degli incendi dell’intera regione Campania si era concentrato nella provincia salernitana. Tra i 50 comuni più colpiti da incendi nella regione, Salerno, San Cipriano Picentino, Eboli, Centola, Agropoli e Sarno occupavano le prime dieci piazze. Insomma, il dato storico ci dice che le ubertose terre del Salernitano sono da anni le più bersagliate. Certo, vi sono più boschi e montagne che altrove, il libeccio e il maestrale non incontrano molte barriere naturali e la dinamica complessiva degli incendi è fortemente condizionata dai fattori climatici. Checché ne dica Trump! Il vento è il primo propagatore di fuoco e quando si tratta di venti di terra, privi di umidità, si aggravano le condizioni di aridità delle nostre zone.
Non vorrei eccedere nel tecnicismo dei dati statistici, ma bisogna partire da lì per capire dove stiamo andando. E bisogna riflettere sulla debolezza dello Stato nel controllo del territorio, e sugli affari che l’ecomafia ha in tema di incendi. Nel primo caso, l’abolizione e l’accorpamento del Corpo forestale avvenuti (sciaguratamente, aggiungo!) dall’inizio di questo 2017 ha prodotto un indubbio indebolimento del controllo. Questo perché il passaggio al Corpo dei carabinieri necessita di un rodaggio, di un ripensamento di talune funzioni e di una eventuale ricollocazione delle guardie stesse, di una ristrutturazione burocratica e degli organi di comando, tutte cose che richiedono un tempo tecnico. E invece, in materia di incendi tempo non ce n’è. Se avessimo a che fare solo con incendi provocati da autocombustione il fenomeno sarebbe largamente sotto controllo. Pensate che il dato non arriverebbe neppure all’1% degli incendi che si producono sull’intero territorio nazionale. Dunque, la criticità non è determinata dal vetro che riflette i raggi solari e può generare un fuoco.
Molto più alta è la percentuale di incendi che si producono a causa di mozziconi di sigarette lanciati sui cigli delle strade che, col caldo torrido, diventano vettori di fiamme. Migliaia di mozziconi accesi sono migliaia di potenziali micce. Favoriti, bisogna dirlo, dal fatto che lungo i margini delle strade della provincia (altro aspetto inquietante!) i rifiuti che abbondano, soprattutto carta e plastica, alimentano i fuochi. Poi ci sono i piromani che provano goduria nel veder bruciare gli alberi; ma in questo caso siamo al cospetto di casi isolatissimi di persone con evidenti patologie mentali.
Tutto ciò non ci spiega affatto il fenomeno degli incendi sulle montagne isolate, sulle pendici più o meno raggiungibili, né ci spiega come mai, appena si alza il vento adatto, scoppino a sorpresa, per lo più in serata o durante la notte, decine di focolai irraggiungibili se non dall’alto, con elicotteri e canadair. È evidente che quegli incendi siano appiccati da persone che studiano i venti, ne conoscono bene la direzione e la portata.
E qui entra in ballo il secondo aspetto, quello più inquietante. Gli incendi rientrano, infatti, nel tema dell’ecomafia, un business da 19 miliardi all’anno, come dimostrato dal fatto che essi hanno subito nel 2016, in tutta Italia, un incremento del 46%. I boschi e gli incendi sono diventati una garanzia per la politica e per le mafie. Assunzioni stagionali, messa in sicurezza dei territori e rimboschimento dopo gravi e devastanti incendi, possibili interessi di palazzinari che sperano di speculare sull’edificabilità di terreni una volta agricoli. Si tratta di un sistema ben rodato e conosciuto da decenni. Dunque, alla base di tutto, ancora una volta, le speculazioni dell’uomo. I dati, ancora loro, ci dicono che tra ferragosto e la prima decade di settembre si ha il picco degli incendi di origine colposa. Ci aspettano settimane ancora roventi e l’ennesima, malinconica, sconfitta di tutti coloro che amano la natura e la rispettano sarà certificata da nuove, impietose, statistiche.
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