presentazione al museo diocesano

Gli avori salernitani, un libro svela il fascino della loro bellezza

L’enigma degli avori salernitani, che nel 2007 furono oggetto di una mostra con relativa preziosa pubblicazione in due volumi curata da Ferdinando Bologna, continua ad affascinare i medievalisti,...

L’enigma degli avori salernitani, che nel 2007 furono oggetto di una mostra con relativa preziosa pubblicazione in due volumi curata da Ferdinando Bologna, continua ad affascinare i medievalisti, tanto che è di questi giorni un altro interessante studio curato da Valentino Pace, già ordinario di Storia dell’arte Medioevale e Bizantina all’Università di Udine. “Una Bibbia in avorio”, questo il titolo del volume che sarà presentato oggi alle 18 nelle sale del Museo Diocesano, a Salerno, è un ulteriore contributo alla conoscenza di quelle 67 tavolette d’avorio incise e narranti momenti del Vecchio e Nuovo Testamento.

Scrive Pace: «Sciogliere gli enigmi di un’opera complessa come questa, priva di ogni tipo di documentazione, è un’impresa “disperata”, anche e soprattutto nella prospettiva di un consenso sul quale convergono studiosi di diverse discipline e di diverse metodologie». Perché, allora, questo ulteriore studio dopo quanto scritto da Monsignor Carucci, Ferdinando Bologna e Antonio Braca? L’autore, per esplicita ammissione, individua sufficienti ragioni per un ulteriore intervento, ragioni che articola nel libro con analisi approfondita dei tempi in cui il ciclo è potuto essere realizzato e delle circostanze che ne hanno determinato la commissione. Così secondo Pace gli avori vanno collocati agli anni della costruzione della Cattedrale, non solo per il fervore che animò quella fabbrica in onore delle ritrovate spoglie mortali dell’Apostolo Matteo, ma anche per la grandezza dei protagonisti: Alfano, benedettino, era un Vescovo di grande forza intellettuale, Roberto il Guiscardo era uomo dall’ambizione smisurata e poi Salerno ospitava Papa Gregorio VII, che fu l’ispiratore della “fabbrica” e la consacrò con la solennità pontificia. Sottolinea l’autore che il suo è «un atto di fede che non ha ragionevoli riscontri documentari, così come non li hanno i fautori di una diversa datazione».

Ed è convinto il Pace che trattasi di un trono episcopale, forse parzialmente utilizzabile, proprio a corona di quei protagonisti e delle circostanze epocali nelle quali l’opera è stata realizzata.

Di certo trattasi di manufatto di bottega salernitana sul quale diversi artefici hanno lavorato su un unico canovaccio; ma questo, in quell’epoca, era prassi consolidata. «Che intorno agli avori di Salerno – scrive Pace – ruoti l’intero Mediterraneo è comunque indiscutibile»; e a rinforzo di questa tesi, l’autore analizza ogni singola formella nelle sue più minute peculiarità, dalla foggia dei vestiti agli sguardi, per finire agli arredi e al panorama in cui ogni scena è ambientata. Inoltre il volume si avvale delle schede di Serena La Mantia, ricercatrice all’Università di Udine, che arricchisce il già cospicuo patrimonio di conoscenze offerto dai precedenti e già citati studiosi. Alla presentazione del libro è abbinata la mostra “Gli avori di Salerno in luce”, pannelli fotografici commentati dalla prof.ssa Carmela Siani, che sarà inaugurata alla Scuola Vicinanza domani.

Vito Pinto

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