Gli antichi miti greci e la tragedia calati nella modernità

Alberto Granese analizza le radici della nostra civiltà In un altro volume si sofferma sulla letteratura “civile”

La letteratura sta dentro le cose della vita, scava la coscienza dell’uomo. Il critico letterario Carlo Bo nel suo saggio “Letteratura come vita” tiene particolarmente a precisare alcuni punti a riguardo. «Rifiutiamo – scriveva Bo – una letteratura come illustrazione di consuetudine e di costumi comuni, aggiogati al tempo. A questo punto è chiaro come non possa esistere un’opposizione fra letteratura e vita. Per noi sono tutt’e due, e in ugual misura, strumenti di ricerca e quindi di verità: mezzi per raggiungere l’assoluta necessità di sapere qualcosa di noi». Dunque un modo per salire «dalle origini centrali dell’uomo». Concetti che ben si associano ai due studi che il professore Alberto Granese, docente di Letteratura italiana all’Università degli Ssudi di Salerno, ha realizzato e su cui si discuterà oggi. “Menzogne simili al vero. Epifanie del moderno: il mito, il sacro, il tragico” (Edisud Salerno, 398 pp.) e “Con pura passione. Dall’itale glorie di Foscolo all’umile Italia di Pasolini” (Edisud Salerno, 376 pp.). Nel primo libro, quanto nel secondo, Granese attraverso l’analisi di testi, opere, personaggi, periodi storici elabora un’ampia fotografia dell’umanità, parla all’uomo contemporaneo, traccia la scia del mito primordiale dal mondo antico ai giorni nostri, mette in mostra l’aspetto politico-civile e sociale della parola scritta.

Professore, partiamo da “Menzogne simili al vero”.

Tra gli elementi fondamentali, il recupero di alcuni aspetti di sapore moderno esistenti nella Divina Commedia di Dante. Inoltre, il recupero degli antichi miti greci, intesi come radici della nostra civiltà. Si va ad analizzare come questi miti rivivano sia nei classici antichi come Omero, sia nelle riscritture moderne. Infatti sono prese in considerazione quelle di D’Annunzio, Salvatore Quasimodo, Corrado Alvaro, Cesare Pavese e Pasolini. In particolare c’è un’analisi di tutta la tradizione della Medea, partendo da Euripide, si attraversa Seneca, arrivando alla Medea romantica di Grillparzer e soffermandosi su quella moderna della scrittrice tedesca Christa Wolf per arrivare naturalmente alle transizioni filmiche di Pasolini e Lars Von Trier.

Perché questo titolo?

“Menzogne simili al vero” si rifa ad una espressione di Omero su Odisseo. Omero dice che Ulisse raccontava menzogne simili al vero. Queste menzogne diventano la metafora stessa del racconto, cioè dell’arte del raccontare. In fondo l’Odissea è un laboratorio, una grande affabulazione, è l’origine del romanzo. Stiamo parlando di sette secoli prima di Cristo. I miti anche nella loro affabulazione, come riteneva Paltone, conservano una loro sacralità, cioè hanno una verità profonda, oscura, della nostra civiltà. Non a caso, sul mito di Edipo si sofferma lo stesso Freud.

Nel secondo volume, “Con pura passione”, le tematiche si avvicinano all’aspetto civile della letteratura.

Sì. E parto da Foscolo. Il primo blocco del volume è dedicato alla sua attività giornalistica attenta ai problemi sociali, come le case da gioco, i rapporti di disuguaglianza economica. Mi soffermo sul suo esilio in Inghilterra, dove scrive sui più grandi giornali. All’epoca, l’Inghilterra era la nazione che aveva vinto la guerra contro Napoleone. Andare a Londra significava stare a centro del mondo. Abbiamo uno scritto dove Foscolo parla della rivoluzione napoletana del 1799, conclusa con la reazione borbonica. Foscolo entra nel merito. Nel 1820-21 c’erano stati i moti carbonari risolti con la sconfitta dei patrioti. Foscolo, così, ripensa ai moti di liberazione dell’Italia e parte dalla rivoluzione napoletana del ’99 che rappresenta il primo momento della costituzione repubblicana dell’Italia. Costituzionalisti moderni, leggendo la costituzione napoletana, affermano che riprende gli elementi innovativi della rivoluzione francese dei diritti dell’uomo e del cittadino e li adegua alla realtà di Napoli del tempo. Foscolo ripensa a questo momento cruciale e lo porta, attraverso il suo giornalismo, a contatto con l’opinione pubblica inglese.

Il libro poi vira verso riflessioni sulla guerra.

Esatto. In particolare sull’analisi fatta da Moravia nella Ciociara. Moravia riflette sui rapporti tra cultura e guerra. Si domanda se la cultura possa impedire la guerra. Purtroppo la risposta è negativa. Secondo Moravia non basta la cultura ma l’uso che ne se ne fa. A questo si aggancia il Pasolini civile. Tanto è vero che il titolo “Con pura passione” è un’espressione usata dal poeta nel suo poemetto “Le ceneri di Gramsci”. Così si passa ad un’analisi delle lettere, degli scritti pasoliniani, arrivando al suo testamento finale, la Divina Mimesis, pubblicato da Einaudi, in cui riprende gli elementi dell’Inferno dantesco e li cala nella realtà omologata dal consumismo dell’Italia di quegli anni.

Secondo lei, è possibile l’avvicinamento dei giovani a queste tematiche?

Le nuove generazioni hanno un loro modello che si basa sul coraggio di dire la verità. Criticare i giovani è sbagliato. Li vedo molto impegnati. Noto in loro una voglia di partecipare e questa voglia è legata anche all’idea che questa partecipazione debba essere basata sul coraggio di trasformare e cambiare il mondo.

Davide Speranza

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