A 40 ANNI DALL'OMICIDIO

Giuseppe Giacumbi: «Mio padre Nicola, inno tragico alla libertà»

Il figlio e l’eredità del procuratore che fu trucidato il 16 marzo 1980: viene ancora ricordato dalla gente comune

SALERNO - «Ricordare non è un mero processo psicologico o intellettuale». La storica frase pronunciata qualche tempo da Papa Benedetto XVI è adatta a far sovvenire alla mente un avvenimento accaduto 40 anni fa ma che ritorna con tutta la sua forza, sempre attuale visto anche il personaggio che ne fu investito, nell’Italia di oggi che è tutta proiettata a sconfiggere il nemico invisibile del Coronavirus ma che forse non ha fatto proprio bene i conti con il proprio passato. Il 16 marzo 1980 veniva infatti barbaramente ucciso Nicola Giacumbi, procuratore della Repubblica facente funzioni a Salerno. Lui, uomo della “giusta giustizia”, che poteva camminare - sempre da solo perché non aveva mai voluto la scorta per non mettere a repentaglio la vita degli agenti - fra la gente liberamente e serenamente. E proprio quella memoria che lega la nostra vita torna oggi attraverso le parole del figlio, Giuseppe, che all’epoca dei tragici fatti aveva solo cinque anni e mezzo ma che ha fatto della sua vita un inno - fortemente privato così come da insegnamenti della mamma Lilly - al senso di giustizia, responsabilità e sacrificio che gli erano stati trasmessi dal padre.

Giuseppe, cosa ha ricevuto da suo padre anche se l’ha potuto vivere solo nella primissima infanzia?
Sicuramente il senso della giustizia che però deve andare al di là del termine specifico della materia di cosa si occupava papà, quindi il magistrato. Io intendo la giustizia in senso più ampio e quindi come equità, ma a cui affianco anche altri concetti come il senso di responsabilità, lo spirito di sacrificio, l’affidabilità e la devozione verso il proprio lavoro e la propria famiglia anche perché papà quando tornava a casa la sera era comunque presente e giocava con me. Quello che io percepisco di aver ricevuto da lui è questo retaggio perché messaggi verbali e frasi me ne ricordo più riguardo al privato ma non in termini di veri e propri insegnamenti che poi ho appreso successivamente da mamma.

L’esempio di vita di Nicola Giacumbi resta vivo ancora tutt’oggi...
Sicuramente. Infatti ritengo di aver preso e appreso da papà un insieme di sentimenti e modi di agire che mi porto dentro e che applico alla mia sfera di vita professionale e familiare. Valori in cui comunque credo e che non ho subito passivamente perché li ho elaborati e li ritengo degni di essere applicati.

Che impressione si è fatta di suo padre?
Da quello che ho ascoltato da mamma ma che poi ho anche letto successivamente l’impressione è quella di una persona che portasse avanti il proprio compito di grande responsabilità ma allo stesso con grande semplicità. E devo dire che nelle varie occasioni in cui ho presenziato a cerimonie o commemorazioni in cui sono state ricordate anche altre figure oltre quella di mio padre, ho avuto modo di capire che era un po’ un modo di affrontare il lavoro che forse faceva parte di quel tempo. Magistrati importanti, così come mio padre, andavano a lavorare da soli, con mezzi pubblici o a piedi. Non c’era un utilizzo del ruolo nell’elevarsi rispetto alla massa ma erano essi stessi che avevano piacere a essere inglobati nel popolo che in qualche modo rappresentavano.

E oggi è lo stesso?
Attualmente chi ha la possibilità di avere un’auto blu, non parliamo solo di scorta, per andare a lavoro o a fare la spesa la sfrutta. Benefit che magari gli toccano anche per diritto, non lo metto in dubbio, ma se ne fa ampio uso mentre magari in passato vinceva la semplicità del lavoro.

La figura di suo padre nel Salernitano viene ancora ricordata?
Ho notato che c’è stato un periodo che è durato decenni in cui con le dovute eccezioni, per motivi di rilevanza come può essere il caso di Moro, si è vissuto un periodo di oblio. Persone che hanno sacrificato il bene più prezioso, quello della vita, credendo in qualcosa che poteva essere lo Stato e i principi della libertà, della giustizia o quant’altro che sono rimaste spesso come parole astratte. Poi dagli anni Duemila questo oblio è stato in parte rimosso da una serie di eventi che sono stati organizzati per celebrare queste figure. Ora a una più attenta disamina questi eventi si sono ridotti a delle mere autocelebrazioni della classe dirigente o comunque strumentalizzati ai fini di qualche altra cosa e poi ci sono state diverse manifestazioni più spontanee e sincere che sono quelle che restano e che fanno sì che la memoria non si disperda.

Fa riferimento alla spontaneità dell’uomo di strada...
Sì, perché a distanza di molti anni ancora mi capita che la persona di strada che vede il mio cognome si ricorda di mio padre. E quindi in qualche modo nonostante questi lunghi decenni di oblio ho visto che il ricordo sopravvive. E mi ha fatto molto piacere perché è vero che per mio padre sono state fatte delle cose come intitolazioni di strade o monumenti ma rimangono solo freddi pezzi di marmo mentre l’eredità è il retaggio che deve resistere.

E quale eredità lascia suo padre ai giovani di oggi?
Aderire a principi che diano una giustificazione al sopportare uno sforzo in funzione di qualcosa in cui si crede. Quindi il messaggio è quello che ci sono delle cose per cui vale la pena fare dei sacrifici, non per forza quello della vita, e quindi accettarle con responsabilità non considerando tutto come un qualcosa di usa e getta a cui si può facilmente rinunciare.