Giuseppe De Lorenzo scienziato-intellettuale che esaltò il buddhismo

Originario di Lagonegro, ricordi infantili nel Vallo di Diano Le sue preziose analisi raccolte in “Terra Madre”

di ALESSIO DE DOMINICIS

Pensare il nostro fiume Sele popolato da ippopotami, elefanti e rinoceronti all’abbeverata, con una foresta circostante simile a quelle del Kenia, non è esercizio di fantasia, ma fotografa la realtà d’una lontana era geologica (Pleistocene per l’esattezza), le cui tracce furono scoperte e studiate dal geologo, geografo e studioso di culture classiche Giuseppe De Lorenzo (col collega Geremia D’Erasmo), e pubblicate, tra l’altro, sulla Rassegna Storica Salernitana (a.II,n.3, 1938, pag.203-220); e chi avesse voglia di vederne i resti può recarsi in via San Benedetto, al Museo Provinciale, e vi troverà reperti di questi animali preistorici nelle vetrine a piano terra. Ma a noi piace parlare di De Lorenzo, scienziato-intellettuale e di un suo scritto del 1907 dal titolo pregnante (ed oggi largamente abusato): “Terra madre” (Torino, Bocca, 1907), che meglio evidenzia la trasversalità dei suoi interessi e del suo sapere. Preliminarmente qualche dato biografico. Nasce a Lagonegro (Potenza) nel 1871 da Lorenzo e Carolina Rinaldi e nel 1884 è già orfano di entrambi. Dieci anni dopo si laurea in Scienze Naturali a Napoli, tre anni dopo è libero docente in quelle discipline nella stessa Università. Per chiari meriti scientifici nel 1913 fu eletto al Senato della Repubblica italiana. Muore a Napoli il 27 giugno 1957. Dopo gli anni di insegnamento svolse lezioni e conferenze sulla storia delle religioni e della filosofia buddhista, e ancora oggi il suo nome è meglio noto in Oriente piuttosto che in patria.

Proprio di queste sue profonde conoscenze di natura umanistica vogliamo trattare, tralasciando i tanti studi e contributi di geologia, geografia fisica, vulcanologia e paleontologia. Il libro che abbiamo scelto di commentare, “Terra madre”, fu scritto negli anni napoletani, quando già si è manifestata la sua adesione convinta al buddhismo, e fin dal prologo si intuisce la natura del testo e del suo poliedrico autore; infatti a quei colleghi scienziati che gli rimproveravano di mischiare spesso nei suoi scritti il sacro col profano, scienza con arte e filosofia (naturalmente per gli scienziati il “sacro” era la scienza) egli risponde che nella rappresentazione dei fenomeni naturali della terra madre il fondo è sempre dato “ ..dallo studio delle cause che hanno portato all'attuale configurazione della superficie terrestre, ma su questa base naturale s’elevano anche le colonne ed i fioriti capitelli dell'arte e del pensiero umano, che è un’efflorescenza della terra stessa” (pag. VI). Al momento della pubblicazione del libro, De Lorenzo aveva consolidata l’amicizia e la collaborazione col maggiore indianista dell'. epoca, l'austriaco Karl Eugen Neumann (1865- 1915), con i testi “India e Buddhismo antico” (Bari, 1904) e “ I discorsi di Gotamo Buddho “ ( Bari, 1907). Nel 1901 era uscito sulla rivista napoletana “Flegrea” il saggio “Un discorso di Gotamo Buddho tradotto per la prima volta dal testo pali”, che può considerarsi tra le prime pubblicazioni di De Lorenzo su temi di filosofia orientale, per apprendere i quali aveva imparato il sanscrito e stretto rapporti coi maggiori orientalisti e studiosi di buddhismo.

Il libro si compone di dodici capitoli con un prologo e un epilogo, e ognuno di questi temi parte da una descrizione di ambiti territoriali del Sud, a lui – infaticabile globetrotter – ben noti perché battuti quasi palmo a palmo. Si parte con “La polvere” turbinante sul Lungomare Caracciolo, metafora di vita e di morte, si passa ai “Fiumi”, il familiare Noce, con la splendida descrizione del suo corso e dell’orogenesi delle valli di Trecchina e Lauria, della gola di Castrocucco, su su fino al Sirino, senza dimenticare di commentare con Eraclito che “Nessun uomo entra mai due volte nello stesso fiume, perché il fiume non è mai lo stesso, ed egli non è lo stesso uomo”. “Il Mare” è il golfo di Napoli, e qui ricorda, inframezzata alla trattazione geologica, la dura fatica e i pericoli dei palombari, magistralmente assimilati nella fatica al contadino, perché come quello curvo sull'aratro, questi “ ..non han tempo né forza di contemplare e di scrutare le bellezze che li avvolgono”.

Nello stesso capitolo descrive la sua esperienza di palombaro neofita, con la puntuale descrizione della complessa vestizione e dei pericoli vissuti in una memorabile immersione nell’antico cratere flegreo di Nisida (il Porto Paone) e anche quest’esperienza è vissuta da scienziato e da filosofo. Sul tema “Fuoco” seguono memorabili descrizioni, letterarie prima che scientifiche, dei Campi Flegrei, della penisola Sorrentina e del Vesuvio, e nel capitolo successivo, “L'eruzione”, è descritta con precisione di vulcanologo quella vesuviana dell’aprile 1906, ma dove a farla da padrone è la “Ginestra” dell'amato Leopardi, inconsapevole e perfetto buddhista. Seguono ancora capitoli di ricordi infantili del terremoto a Lagonegro, della prima visione dello Stromboli dai colli di Maratea (“I moti della Terra”), di un’esemplare e dottissima descrizione della vegetazione tra Basilicata e Vallo di Diano (La Terra vegetale), e ancora sui “Miti della Terra”, sulle “Visioni della Terra” e “Pensieri sulla Terra”, capitolo quest’ultimo interamente dedicato a Giordano Bruno. Chiude il libro un capitolo di grande complessità teologica, che dovette dispiacere non poco agli ambienti di cultura cristiana ed ebraica : “La Terra nella Bibbia e nel Buddhismo”, dove i testi del Vecchio e del Nuovo Testamento riguardanti la Genesi e i fenomeni naturali sono vagliati criticamente da De Lorenzo e valutati (salvo i libri di Giobbe e l’Ecclesiaste, giudicati di origine orientale) inferiori, per validità epistemologica diremmo oggi, rispetto alla visione Buddhista, che precede di cinque secoli il Cristianesimo.

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