SALERNO LETTERATURA

Giovanni De Luna: «Rilanciare i valori della Resistenza»

All’Arco Catalano il libro dello storico battipagliese

A rileggere le pagine de “Il partigiano Johnny” di Beppe Fenoglio, “Il sentiero dei nidi di ragno” e “Ultimo viene il corvo” di Italo Calvino, “Uomini e no” di Elio Vittorini, si sentono la puzza della polvere da sparo, lo scalpiccio di vecchi scarponi nel fango, il sapore del sangue lungo ferite senza risposta, l’urlo di disperazione di un’intera generazione che ha combattuto per garantire ai posteri il proprio futuro.

La narrativa ha saputo raccontare con una emozionalità senza pari le speranze e la tragedia di quei giorni di guerra, quando durante il regime nazifascista, ebbe luogo la Resistenza. Passarono alla storia, le parole del presidente partigiano, Sandro Pertini. «Oggi la nuova Resistenza in che cosa consiste? Ecco l’appello ai giovani: di difendere la Repubblica e la democrazia. E cioè, oggi ci vogliono due qualità a mio avviso cari amici: l’onestà e il coraggio». Oggi, tutto questo rischia di svanire. La narrativa torna ancora in aiuto e ristabilisce gli equilibri. Il libro “La Resistenza perfetta” di Giovanni De Luna (Feltrinelli, pp. 254, 18 euro) è un esempio di come la narrazione possa risvegliare nell’animo il desiderio di conquistarsi quel futuro, che sembrava perso sui campi di battaglia del Novecento. Lo storico, battipagliese doc, presenterà il romanzo a Salerno letteratura, oggi alle 19.30, all’Arco Catalano di Palazzo Pinto, con Dino Messina. Il romanzo, attraverso il diario dell’adolescente Aurelia Oreglia d’Isola, di nobile famiglia piemontese, ricostruisce le vicende delle formazioni partigiane e fasciste che si affrontarono nelle valli valdesi.

Professore, il termine Resistenza è alla base del suo romanzo.

«Uno degli assi centrali del libro è di voler restituire il termine alla scelta individuale. Le condizioni storiche del Novecento sono irripetibili. Difficile che la Resistenza possa emozionare. Quello che rimane è il momento della scelta individuale. Per vent’anni, si era stati derubati della propria libertà. Dopo quei vent’anni, ecco che ti impadronisci di nuovo del tuo destino ed è un momento magico. È in quel momento lì che si ridefiniscono i destini di migliaia di giovani tra i 20 e i 25 anni. Rispetto alla scelta che niente fosse successo o di entrare nella Repubblica di Salò obbedendo alla gerarchia, invece ne scelgono una terza, quella del mettersi di fronte alla propria coscienza».

Perché la Resistenza è stata strumentalizzata?

«Nel 1948 l’Italia si era ricostruita dal punto di vista economico. Ci eravamo dati una Costituzione. Eravamo andati a votare con una percentuale enorme. Un’esplosione di passione politica. Un miracolo. Era stata la resistenza a creare questo dinamismo, questo slancio. Poi c’è stata la guerra fredda. Negli anni Cinquanta non era l’antifascismo il cemento del nostro sistema politico, ma l’anticomunismo. La resistenza diventava un disvalore. Basta ricordare che nel 1955, il ministro della Pubblica Istruzione, Giuseppe Ermini, mandò una circolare dove induceva i presidi a ricordare il 25 aprile come il giorno in cui era morto Guglielmo Marconi. Negli anni Sessanta ci fu un cambiamento di rotta, ma sempre accompagnato da una forte tensione. Durante le piazze degli anni Settanta c’era attrito tra comunisti e democristiani, ma c’era la consapevolezza che la resistenza non fu atto di un solo partito. Dagli anni Novanta in poi tutto questo fu azzerato. La Seconda Repubblica nacque con un altro paradigma. Oggi c’è un rischio, quello del passato cancellato, l’impressione che le nuove forze politiche vivano il presente senza considerare il passato».

Il suo romanzo parte dalle pagine di diario di una ragazza dell’epoca.

«Sì. La mia guida è il diario di questa ragazzina di 17 anni molto cattolica, tanto è vero che c’è una causa di beatificazione nei suoi confronti. Nel suo castello feudale di Bagnolo Piemonte c’era anche la sede del comando della Divisione Garibaldi partigiani comunisti. Si crea una comunità irripetibile, legata a una tensione progettuale verso il futuro. Il futuro doveva essere la democrazia, la libertà. In quel quartier generale si discute di tutto, ci si confronta. Non erano discussioni accademiche. Fu un grande palcoscenico su cui si avvicendarono i protagonisti della Resistenza. Ho cercato di raccontarla in termini non accademici dando carne e sangue ai personaggi. La Resistenza deve esser ricordata con i termini del racconto, altrimenti si cade nella retorica. Il diario ha una sua spontaneità, uno sguardo che non avevo mi incontrato».

È possibile oggi rilanciare i valori di quell’epoca?

«È la grande scommessa. Le istituzioni devono fare la loro parte. La stessa scuola, nella costruzione delle coscienze, non può fermarsi ai manuali».

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