PASEGGIATE NELLA STORIA

Giovanni Amendola, eroe dell’antifascismo

Il giornalista e politico nato a Sarno è una delle figure più importanti della lotta contro il potere assoluto di Mussolini

Anche quest’anno, a Salerno, il carnet delle manifestazioni organizzate da associazioni, comitati e istituzioni per la Festa della Liberazione del 25 aprile si annuncia ricco e variegato. Iniziative sociali, culturali, religiose, ambientali si alterneranno per festeggiare il 78° anniversario della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Sarà soprattutto l’invito, nella memoria e nella festa, a una riflessione profonda in un momento in cui l’uomo, ancora diabolicamente dimentico delle tragedie e delle inenarrabili sofferenze del passato, ricorre ancora all’utilizzo delle armi per risolvere crisi e redimere questioni, anziché ricorrere al colloquio, all’intelligenza, alla diplomazia e ai valori cristiani dello spirito e della coscienza.

Nel corso delle manifestazioni saranno onorati, come sempre, i tanti caduti che si immolarono per la causa della libertà e della democrazia, per garantire una vita serena e dignitosa alle future generazioni. Una delle più illustri figure del primo antifascismo, quello che si oppose fin dall’inizio alla presa del potere di Mussolini, fu Giovanni Amendola, eroe e martire della lotta salernitana contro la dittatura. Nato a Napoli il 15 aprile 1882 da una famiglia originaria di Sarno dovrà cambiare frequentemente residenza per seguire i genitori (suo padre era carabiniere). Trasferitosi giovanissimo a Firenze, dopo un impegnativo tirocinio giornalistico, nei primi anni del Novecento comincia a collaborare alle riviste fiorentine “Leonardo”, “La Voce” di Giuseppe Prezzolini e nel 1911 fonda e dirige, insieme con Giovanni Papini, il mensile “L'Anima”. Trasferitosi con la famiglia a Roma, nell’agosto 1912 si dà al giornalismo militante unendosi a Enrico De Marinis come corrispondente politico romano del “Resto del Carlino”.

Nel giugno 1914 interrompe la collaborazione con il quotidiano bolognese e, alla vigilia della guerra mondiale, entra a far parte dell’ufficio romano del “Corriere della Sera”, affiancandosi al conterraneo Andrea Torre. Allo scoppio del conflitto Amendola parte per il fronte nel marzo del 1915, combatte sull’Isonzo e riceve anche una medaglia di bronzo ma, colpito dalla malaria, viene mandato a casa. Alla fine della guerra tenta la carriera accademica e non abbandona il giornalismo ma sente che è il momento giusto per entrare nella politica militante, seguendo così la sua vera, profonda vocazione. Viene candidato alle elezioni generali del 1919 a Salerno, nella terra natia della sua famiglia, e viene eletto col suffragio di quasi tutti gli elettori di Giovanni Abignente, deputato del collegio di Mercato San Severino, morto durante la precedente legislatura. Ottiene analogo, positivo risultato alle successive elezioni generali del 1921 come liberale con posizioni vicene a quelle di Francesco Saverio Nitti.

Nel suo collegio Amendola si comporta con intelligenza e spregiudicatezza e oltre a inserirsi nel modo giusto nel sistema politico locale, riesce a crearsi la base elettorale nella piccola e media borghesia, presso, cioè, quei ceti medi sui quali intende poggiare, anche sul piano nazionale, la sua azione politica. Nel governo Facta del 1922 diviene ministro delle Colonie. Siamo nell’anno della Marcia su Roma e Amendola è tra quelli che chiedono inutilmente al Re di proclamare lo stato d’assedio e bloccare l’avanzata delle milizie fasciste. Inizia così la sua strenua battaglia antifascista, sia dai banchi del Parlamento che dalla tribuna de “Il Mondo”, il quotidiano politico che ha fondato a Roma. Subisce per questa sua opposizione ben tre aggressioni da parte delle squadre fasciste, la prima e la seconda a Roma, dove viene gravemente ferito. Ma non si piega ed è uno degli animatori dell’Aventino, il boicottaggio dei lavori parlamentari da parte dei deputati antifascisti dopo l’attentato a Giacomo Matteotti.

Ma il 25 luglio del 1925 sulla strada fra Montecatini - dove ha appena partecipato a un incontro politico - e Pistoia, viene assalito ancora una volta da un gruppo di squadristi e sottoposto a un pesante pestaggio che gli provoca gravi danni fisici. È costretto a recarsi in Francia più volte per tentare di guarire. Muore in una clinica nei pressi di Cannes il 7 aprile del 1926, dopo essere stato sottoposto a un difficile intervento chirurgico dovuto alle conseguenze dell’aggressione e delle bastonate ricevute. Uno dei figli, Giorgio, aderirà al Partito Comunista Italiano di cui diverrà uno dei massimi dirigenti, legato comunque a Salerno, città nella quale sarà eletto più volte alla Camera dei Deputati.

A Sarno, paese d’origine della sua famiglia, una lapide commemorativa ne onora la memoria. Salerno gli ha intitolato la sua piazza più importante, di fronte al Palazzo di Città, e gli ha fatto erigere, in Corso Garibaldi, davanti al Palazzo di Giustizia, una splendida statua, opera dell’artista salernitano Gaetano Chiaromonte (autore anche della statua di Carlo Pisacane a Sapri). Ricordare Giovanni Amendola nel giorno della Festa della Liberazione è doveroso, perché la sua vita e la sua morte sono esempio luminoso di un coraggio, di una passione, di una coscienza e di una cultura politica che oggi sembrano perdute per sempre.