IL RICORDO

Gino Palumbo e quei bagni a Vietri sul Mare

Da Cava alla direzione de “La Gazzetta” ma amava la sua terra e la Costiera Amalfitana di cui era abituale frequentatore

«Vieni, Mimì, adesso ti faccio conoscere un nostro illustre paesano». Gaetano Afeltra mi sembra più pimpante del solito. Siamo al Circolo della Stampa di Milano in un pomeriggio festivo di una tarda primavera di molti (troppi) anni fa. Don Gaetano mi prende sottobraccio e mi conduce alla buvette del Circolo. Mi indica un signore di mezza età seduto a un tavolino, sta sorseggiando una bibita. «Mimì, ti presento Gigino Palumbo, il più grande giornalista sportivo italiano vivente». «Gaetà, hai sempre voglia di scherzare», si schermisce quel signore distinto, non alto, dalla faccia paffuta e simpatica. «Di dove sei?», mi chiede stringendomi la mano. «Sono di Vietri, di Marina di Vietri, per la precisione». «Ah, la Marina… molti ricordi della mia infanzia e adolescenza mi legano al tuo paese… eravamo abituali frequentatori del lido Risorgimento». Ho il ricordo di una piacevole, piacevolissima serata trascorsa tra battute di sapore goliardico, ricordi della nostra terra, nostalgie. La vita di Gino Palumbo assume fin dall’infanzia i colori della leggenda : nato a Cava de’ Tirreni il 10 gennaio 1921 da Amedeo, noto penalista del foro di Salerno, e da Rosalia Bellet, “fonda” il suo primo giornale a 9 anni grazie ad una macchina da scrivere giocattolo regalatagli dalla madre. Sembra un divertimento come un altro, ma non lo è. A 13 anni Gino comincia a frequentare la redazione napoletana de La Gazzetta dello Sport. Intendiamoci, il ragazzo è poco più di un fattorino, caffè e sigarette, ma già comincia a respirare l’aria della professione, un virus che quando ti assale non ti molla più. Ovviamente è il Napoli il suo primo amore: segue, puntuale, tutti gli allenamenti e, come premio, a 14 anni ottiene la pubblicazione di un breve articolo, anonimo. Passano gli anni, arriva la guerra: Palumbo parte militare dopo aver già intrapreso gli studi di giurisprudenza, che riprende e termina alla fine del conflitto.

Poi, dopo una breve collaborazione al Corriere dello Sport, Palumbo viene assunto a “Il Mattino”. Risale proprio a questo periodo, nell’immediato dopoguerra, un episodio di cui fu protagonista con Fausto Coppi. Grazie a un suo appello, il Campionissimo appena tornato dalla prigionia ottenne una bici nuova per ricominciare a correre. È un momento importante ma a Palumbo non basta: sente la mancanza di un settimanale che sappia valorizzare lo sport meridionale e, con coraggio, fonda Sport Sud. Ad aiutarlo c’è tutta una generazione di giornalisti napoletani, ben presto simpaticamente definiti “i ragazzi dell’Angiporto”. È ancora giornalismo romantico: mai a letto prima dell’alba, polemiche appassionate e roventi. Nell’autunno del 1962 arriva la svolta decisiva nella vita professionale di Palumbo: Alfio Russo, direttore del Corriere della Sera, lo chiama a Milano come capo redattore dei servizi sportivi. Palumbo diventa subito “il napoletano freddo” per il suo innato senso della misura; colpisce il suo “aplomb” che lo discosta dalla classica iconografia meridionale “anema e core”. I primi anni Sessanta sono anche l’epoca delle grandi battaglie giornalistiche sul modo di intendere il calcio. Palumbo è un offensivista, ama lo spettacolo, l’importante è sempre segnare un gol più dell’avversario. E’ una teoria che si scontra con quella dei difensivisti, tra cui Gianni Brera, fedeli al motto “primo, non prenderle”. Mentre però Palumbo gioca di fioretto, Brera va giù con l’ascia. E all’indomani di un articolo particolarmente pesante sui “napoletani a Milano” scritto da Brera, Palumbo, in tribuna a Brescia, si avvicina al rivale e lo schiaffeggia: è il classico gesto di sfida. Brera non afferra e risponde con due cazzotti plebei. Nel ’70, in Messico, scoppia il cosiddetto “caso Rivera”: nella finale contro il Brasile di Pelè il commissario tecnico Valcareggi fa scendere in campo Rivera solo negli ultimi sei minuti. Palumbo, che è un grande estimatore del capitano del Milan, giudica la decisione di Valcareggi come il goffo tentativo di coinvolgere anche Rivera nel fallimento, e usa parole di fuoco per bollare lo scandalo. Passano gli anni e Palumbo sale la scala gerarchica del Corriere, finché un giorno l’editore gli propone di assumere la direzione del Corriere d’Informazione. È un compito difficile, ma Palumbo accetta con entusiasmo: è un quotidiano della sera, popolare nel senso più alto del termine, e Gipa (da sempre il suo soprannome, derivato dalle prime lettere del nome e del cognome) ne capisce fino in fondo l’anima. I titoli sono semplici, chiari, diretti. Un giorno spara a nove colonne: “I metalmeccanici hanno ragione”. C’è chi magari non approva, ma capiscono tutti, subito. Ed è esattamente ciò che Palumbo vuole. «Un articolo che deve essere letto due volte prima di essere capito, è un articolo sbagliato», mi disse quella sera. Alla fine del ’74 Palumbo lascia “l’Informazione” con un fondo che fa epoca e il cui titolo è nel suo stile, chiarissimo: “Il diritto di dire no”. Passa a fare il consulente editoriale per un settimanale, ma non è il suo mestiere: lui ama il quotidiano, l’atmosfera un po’ folle e frenetica di quella “strana cosa” che oggi è una fonte di informazioni e domani solo carta da pacchi, se va bene. Nel novembre 1976 Palumbo ritrova il suo primo amore, la Gazzetta dello Sport: l’aveva lasciata da fattorino o poco più, vi torna da direttore.

Il quotidiano rosa è in un momento di crisi, le vendite ristagnano. Palumbo, giorno dopo giorno, costruisce il suo monumento giornalistico: quando lascerà la carica di direttore responsabile, nel marzo del 1983, la Gazzetta sarà il primo quotidiano italiano con tirature da capogiro. Far partecipare all’avvenimento il lettore, usare un linguaggio facile, spiegare: questi sono i suoi comandamenti. Palumbo non è solo il galantuomo e l’amico affettuoso: con i suoi redattori sa usare carota e bastone, più spesso il bastone. È pignolo, preciso, implacabile: «Vai dentro all’avvenimento, scava , scava», diventa una delle sue frasi preferite. Quando usa la carota lo fa con estrema classe. A un suo redattore, reduce da una difficile inchiesta all’estero, dice: «Ti ho seguito con grande piacere cole lettore e con grande gioia come direttore». È molto amato e stimato da tutti, e anche quando lascia nelle mani di Candido Cannavò la direzione responsabile, resta nella sua “Gazzetta”: la porta sempre aperta, un consiglio sempre pronto. Poco dopo aver lasciato la “Gazzetta” l’editore gli offre la carica più ambita in tutta l’editoria italiana: quella di direttore del Corriere della Sera. Palumbo rifiuta perché i sintomi della malattia si fanno sempre più evidenti. Comincia il calvario: lunghe assenze, timidi e festeggiatissimi rientri, ancora a casa, ancora in clinica. Sa benissimo cosa si porta dentro, ma lotta con serenità, fino alla fine.