L'INTERVISTA

Gianni Lamagna: «Musica popolare, lotto per non farla morire»

Il componente della Nuova Compagnia Canto Popolare: bisogna insegnare ai giovani le tradizioni altrimenti non hanno futuro

 

Noto e raffinato musicista, Gianni Lamagna, nel corso della sua quasi cinquantennale carriera, appartiene a quella Napoli colta che ai apre alla Campania e quindi anche al Salernitano perché riesce in un perfetto amalgama di musica e letteratura, a captare l’attenzione e l’interesse dello spettatore nonostante il repentino mutamento dei gusti musicali e culturali. Docente e ricercatore, componente della Nuova Compagnia di Canto Popolare, Gianni Lamagna ha avuto come suo primo mentore quel Roberto De Simone, ispiratore dello stesso gruppo che ha festeggiato i 50 anni di carriera.

Gianni Lamagna, si è appena concluso il Festival di Sanremo ma la mente non può non andare a 22 anni fa quando lei, membro della gloriosa Nccp, partecipò alla kermesse con la canzone “Sotto il velo del cielo”, quali modelli letterari si celano dietro questa canzone che è pura poesia?
Non ci sono modelli letterari celati, il messaggio è diretto, rivolto a quella “processione di anime dimenticate” che troviamo nella prima parte della canzone. Nel testo è espresso chiaramente il desiderio, lo sperare che qualcosa finalmente possa cambiare, specie per chi vive una condizione pesante.

La musica popolare è sempre stata nelle sue corde; da studioso di “napoletanità”, come vede cambiata negli anni la tradizione del patrimonio musicale partenopeo?
Nell’arco dei miei anni l’ho vista diventare sempre più nazionale e meno popolare, fatte salve le tradizioni che appartengono ai rituali fortemente sentiti e legati alle feste che scandiscono il ciclo della vita con il cambiare delle stagioni. Le innovazioni sono fondamentali per tenere viva la tradizione, ma il pericolo costante è l'imbarbarimento del gusto musicale sia per quanto riguarda la musica di tradizione popolare contadina che per quello della canzone napoletana. La soluzione è il rispetto di ciò che abbiamo appreso dal passato e riproporlo con ricerca, studio e competenza.

Oltre che un musicista, lei è anche un raffinato studioso. Un suggestivo tentativo di contaminazione letteraria lo ha realizzato con “Neapolitan Shakespeare”, traducendo dall’inglese in napoletano i versi del drammaturgo inglese...
Mi è piaciuto vivere la vita, le persone, ascoltare i vecchi, viaggiare, essere in strada, sbagliare, correggermi, gioire, soffrire, amare gli amici e partecipare con tutto me stesso a ciò che ho fatto. Molte cose, in verità, sono accadute per puro caso, ma il caso a volte va seguito e se ti sta portando verso cose che senti ti appartengano devi fermarti, capire e tenertele strette. Proprio come è accaduto con il Bardo.

Può ancora oggi il napoletano essere una lingua universale di pace e di cultura?
Potrebbe, certamente. Come potrebbero tante altre lingue e dialetti della nostra Italia. Penso, prima di tutte, alle tre lingue storiche per tradizione teatrale e musicale: la napoletana, la veneta e la siciliana. Bisogna insegnare a scuola i dialetti, già dall’asilo, molti giovani emettono brutti suoni, le parole parlano una lingua che non suona. E senza musica il napoletano non è bello come quello di un tempo.

Recentemente, la Nccp ha festeggiato i 50 anni di carriera. Il recente singolo “Napulitane” esalta in maniera travolgente la napoletanità e le sue peculiari caratteristiche. Cosa è cambiato in cinquant’anni ad oggi?
In cinquant'anni può cambiare radicalmente il mondo. A Napoli è stato così. La Nuova Compagnia di Canto Popolare ha avuto un ruolo importante per il cambiamento della città riproponendo un patrimonio musicale, fino ad allora sconosciuto, diventato identità culturale di Napoli e dei napoletani. “Napulitane”, singolo dell'album “50 anni in buona Compagnia” appartiene già al passato. Da poce settimane è uscito il nostro ultimo lavoro “Napoli 1534, tra moresche e villanelle”. Un nuovo ritorno, l’ennesimo, e non sarà l’ultimo. Ci tocca ancora lavorare. Le cose da fare sono tante, bisogna catturare l’attenzione e l’interesse delle nuove generazioni, dobbiamo sforzarci al massimo per lasciare ai ragazzi anche il nostro ricordo, il lavoro fatto, l’impegno profuso, le lotte sostenute. E perché no anche qualche battaglia vinta come quella di aver partecipato alla costruzione di un concerto bellissimo a quattro voci che porto in giro in Italia e all’estero con Lello Giulivo, Anna Spagnuolo e Patrizia Spinosi, amici e colleghi da quarant’anni. Si chiama “Paese mio bello, l’Italia che cantava e canta”.

Stefano Pignataro