LA KERMESSE

Gegè Telesforo: «Salerno, New Orleans italiana»

Il musicista sarà al Diana con l’Amalfi Coast Big Band: la bellezza della città “scatena” i creativi in composizioni originali

di NICOLA SALATI

Il jazz invade Salerno. A partire da giovedì torna l’appuntamento con la seconda edizione di “International Jazz” che si tiene al Teatro Diana - Sala Pasolini. Tre appuntamenti con la grande musica aperti dall’“Amalfi Coast Big Band” con la guest star Gegè Telesforo, a seguire il 2 maggio la “Camera Soul”e il 9 maggio “Elizabhet Sheperd 5Tet”. «Con questa iniziativa sottolinea il direttore srtistico della kermesse Stefano Giuliano - vogliamo consolidare il discorso del jazz in questa città. D’altronde Salerno ha sempre prestato grande attenzione e partecipazione verso questo genere musicale». Ad aprire la rassegna ci sarà l’ “Amlfi Coast Big Band” che nasce con l’obiettivo di ripercorrere le strade del jazz e di altri generi musicali, che hanno accompagnato e caratterizzato diversi periodi storici. L’organico è formato da 15 elementi, tutti musicisti campani, accomunati dalla passione per la musica afroamericana ma legati anche dal desiderio di sperimentare contaminazioni di stili e sonorità. Per l’occasione la big band ospita il grande Gegè Telesforo, proponendo una visione delle composizioni di Gegè diversa sia per arrangiamenti sia per la tipicità dell’organico.

Gegè Telesforo, quale emozione prova a tornare a Salerno?

Salerno per me rappresenta la New Orleans italiana. Il jazz è di casa e ogni volta che ho la possibilità torno sempre con tanto piacere perché davvero ci sono persone che vivono questo genere musicale con passione.

Ma come mai secondo lei perché il jazz ha un binomio così stretto con Salerno?

Io lo riconduco alla bellezza della città. Infatti qui si vive bene e questo non può che portare a brillare i creativi dandogli i giusti stimoli e curiosità per portare poi in scena strepitose performance.

Come è nato il suo amore per il jazz?

È una sorta di leggenda metropolitana che viene tramandata. Pare che io avessi problemi di insonnia, mal di pancia, colichette, tipiche dei neonati, e allora la terapia che mio padre escogitò fu quella di farmi ascoltare il jazz in continuazione ed i suoi dischi preferiti. Pare che quando posizionava il vinile con il jazz, io mi placavo e dormivo. Fatto sta che poi questo messaggio subliminale è stato una sorta di imprinting che mi è stato imposto e, alla fine, quello che faccio oggi è fare il musicista, anche se i miei avrebbero preferito che, ad un certo punto, avessi fatto un altro tipo di percorso "professionale.”

Cosa è per lei il jazz?

Il jazz è musica, è un linguaggio, è uno stile di vita.

Tra i tanti impegni è anche ambasciatore dell’Unicef.

È una vera soddisfazione perché riesco a veicolare la musica in contesti che vengono definiti “a rischio”.