Il documento

Gatto, le verità scomode per il Pci 

Peirce racconta il lavoro fatto dal poeta come inviato dell’Unità nei Paesi dell’Est

Quello di Guglielmo Peirce (1909-1958) non è sicuramente un nome ricorrente o con frequenza ricordato nella storia del giornalismo e della letteratura del secondo Novecento. La ragione di tanta poca memoria risiede forse nel carattere del personaggio, poco accomodante e per nulla omologabile all’italico conciliante modello, tanto frequente in politica e in letteratura, ieri come oggi. Nel 1927 a Napoli, dove viveva (era nato a Portici), è già un pittore d’avanguardia e con Paolo Ricci, Carlo Bernari, allora ancora Bernard, Antonio D’Ambrosio e il futuro architetto Carlo Cocchia, fonda il movimento “Circumvisionista”, e l’anno dopo, con gli stessi radicali compagni, il radicalissimo movimento dei “Distruttivisti Attivisti”. Un’anima in continua e permanente rivoluzione: nel 1928 fu comunista, iscritto e clandestino militante, in pieno regime fascista; a Parigi conosce e frequenta Picasso e a Milano, dove approda nel 1936, Alfonso Gatto.
Nella casa milanese del poeta è ospitato e poi insieme sono arrestati per motivi politici. Quell’antica amicizia tra Peirce e l’Alfonso Gatto degli anni senza soldi e senza sole, ci muove adesso a rileggere una pagina poco nota che riguarda quest’ultimo, negli anni della sua collaborazione all’Unità di Togliatti e Ingrao, dopo la guerra, che Guglielmo Peirce (fuoriuscito dal Pci due anni prima di Gatto, nel 1949) rievoca nel suo “Pietà per i nostri carnefici”, Milano, Longanesi, 1951.
Peirce dopo la Liberazione è incaricato dalla Direzione del Pci di occuparsi da Roma della terza pagina dell’Unità, diretta in quegli anni da Pietro Ingrao; allo stesso giornale è chiamato a collaborare tra il 1946 e il 1948 Alfonso Gatto, prima come inviato speciale in Polonia, Cecoslovacchia, nella Jugoslavia di Tito e poi al Giro d’Italia. Guglielmo Peirce, in una bella pagina, rievocava così le visite del poeta: “...Gatto, con i suoi passi lenti e annoiati, mi veniva a trovare nell’ultima stanza della redazione dell’Unità, che affacciava in via Quattro Novembre. Dava uno sguardo alle mie carte, andava alla finestra e come un bambino curioso fissava lungamente il traffico della strada… Era rientrato in Italia (dal viaggio nei paesi anzidetti) con una valigia carica di carte, appunti, libri. Sempre povero e senza casa, si era dovuto installare in una stanza della foresteria del Pci in via Nazionale”.
In quel quadro di ristrettezze, condivise dalla massima parte degli italiani in quell’estate della neonata repubblica, vediamo Gatto, nel racconto di Peirce, impegnato nottetempo a scrivere il “servizio” per il giornale e ingaggiare una lotta disperata contro gli scarafaggi che gli avevano invaso la stanza (“il ddt era ancora introvabile” commenta Peirce ). Gli articoli di Gatto sul viaggio in quei tre paesi del “nuovo socialismo” sono però ben diversi, nel tono e nella sostanza, da quanto la direzione del giornale e, soprattutto, quella del partito si aspettavano di pubblicare. Scrive Peirce: “Gatto, a mano a mano che terminava gli articoli, li consegnava al direttore. Dal numero di giorni che quegli scritti restavano sul tavolo di Ingrao, capii che essi non avrebbero mai visto la luce. Gatto era un uomo sincero e acuto, impegnato non in una polemichetta astuta, ma nella ricerca della verità, anche se essa (ed era proprio il caso del “nuovo socialismo”) appariva sgradevole e stridente. Il Pci lo aveva invece mandato in giro nella speranza che egli scrivesse dei panegirici sulla edificazione di quella nuova società ...”.
Ma le speranze del partito (dei dirigenti) con l’indole dell’artista-intellettuale mal si conciliavano, ed egli, Gatto, non poteva non registrare le già evidenti contraddizioni nei paesi visitati, quell’estate del ’46. L’inossidabile fede politica di Peirce dava già da qualche tempo segnali di cedimento, stando a quanto lui stesso ammetteva parlando con Gatto, che riceve a sua volta il primo duro colpo, quando comprende che quel suo lavoro, scritto non senza pena e trepidazione, sarebbe stato rifiutato. “… Quando gli dettero indietro il grande fascio di cartelle dattiloscritte, mi si strinse il cuore. Un giorno lo avevo visto dai lunghi e gelidi corridoi di San Vittore allontanarsi col suo passo indeciso e distratto nella nebbia del cortile. Ora eccolo lì, ancora con gli stessi occhi spauriti, i capelli incolti e la giacca cadente. Allora lottava per pronunciare una piccola verità ed era perseguitato. Oggi, dopo tanti anni, con altre persone ed altre cose, accadeva lo stesso…”: è la considerazione conclusiva, forse anche un poco enfatizzata, di Peirce su quei fatti che colpirono l’animo del suo amico Alfonso, ma va detto che, dopo quell’agosto del 1946, non vi furono nei suoi confronti né misure disciplinari né alcuna reprimenda ufficiale da parte della direzione del partito. Anzi, nei tempi successivi del suo soggiorno romano, Alfonso Gatto è cooptato nella cellula dell’organo di stampa del Pci, alle cui riunioni - aggiunge Peirce - “..si recava malvolentieri”, prevedendo che le sue risposte abituali non erano “adatte a fargli compiere molto cammino nei ranghi di quel partito. Egli sembrava estremamente cosciente ed anche divertito di ciò”.
Dell’attività di scrittore-giornalista per l’Unità, durata tre anni, la stagione più felice e meglio accettata e vissuta da Gatto, fu quella di inviato al seguito del Giro d’Italia del 1947 e a quello del 1948. Di quel tempo, epopea del binomio Coppi-Bartali, rimangono i servizi di un inedito poeta-cronista sportivo, articoli che naturalmente non narrano solo le vicende e le tappe del Giro ma l’aria e il respiro di quell’Italia sbrindellata e felice ai bordi della strada. Un giorno Coppi tentò, inutilmente, di insegnare a Gatto ad andare in bicicletta: “...In bicicletta vanno tutti, le donne e i bambini, i preti e i soldati. Io soltanto no”, e dopo l’ennesima caduta, sotto gli occhi sconsolati di Coppi, Gatto poi scriverà: “Cadrò, cadrò sempre fino all’ultimo giorno della mia vita, ma sognando di volare”. E “Sognando di Volare“ sarà il titolo dell’introvabile libro di Luigi Giordano, pubblicato a Salerno da “Il Catalogo” di Lelio Schiavone, volume che riporta in appendice gli articoli sul Giro del ’47 - ’48 scritti per l’Unità e quelli che Gatto (uscito intanto dal Pci nel 1951, sbattendo la porta ) scrisse per il “Giornale del Mattino” di Firenze, sul Tour del 1958 e sul Giro d’Italia del 1959.
©RIPRODUZIONE RISERVATA