IL GIORNO DELLA MEMORIA

Finzi Contini, il giardino nascosto dell’orrore

Il romanzo di Bassani e la tragedia della Shoah: l’ispirazione dalla storia di una famiglia di Ferrara strerminata dai nazisti

Ogni qualvolta ritorno a Ferrara, mi stupisco sempre, invariabilmente: nella città estense di Bassani non è cambiato niente, o quasi. Ad esempio, scopro sempre quelle stesse luci dalla patina antica, quei crepuscoli sfumati. Sempre quei colori languidi, un po’ estenuati nella bruma, di rosso mattone, verde vegetale e cielo che si perdono in fondo alla morbida curva di Corso Giovecca. Anche Corso Ercole I d’Este, la splendida strada gentilizia che scende dal Castello alle Mura, conserva sempre l’acciottolato antico: ed è proprio merito di Giorgio Bassani che, molti anni fa, riuscì ad impedire che i ciottoli fossero sostituiti dal bitume. Corso Ercole I d’Este: lì dove sorgevano, nel romanzo, la casa e il giardino dei Finzi Contini. In anni lontani, turisti frettolosi si informavano se davvero esistessero la casa e il giardino, e restavano delusi quando gli rispondevano che una casa di quel tipo, con quel nome, in Corso Ercole I d’Este non è mai esistita. È vero. Però, con un po’ di pazienza, ci si accorge che, sì, tutto è stato inventato, ma nulla gratuitamente.

I luoghi, la memoria. In Corso Ercole I d’Este c’è effettivamente il lungo muro di cinta che arriva fin quasi alle Mura degli Angeli ma dietro di esso, negli anni Venti del secolo scorso, c’era solo una sterminata distesa di orti. Il famoso giardino, se proprio vogliamo, bisogna andarlo a cercare un po’ più in là, nel Parco Massari. Oggi è un parco pubblico, ma quando Bassani era ragazzo era una vera giungla. E le rovine cinquecentesche del Barchetto del Duca, intorno alle quali era poi stata costruita la mole neogotica del palazzo dei Finzi Contini, esistono davvero, coperte di rampicanti, a pochi passi dalla Certosa. E così la tomba dei Finzi Contini, anche se con un nome diverso è davvero, nel cimitero israelitico, una tomba bizzarra e imponente, ben distinta dalle altre. E il club del Tennis? È poco distante dalla casa dello scrittore: si può scorgere la lucida chioma della magnolia che sorge dal cortile di casa Bassani. E, per finire, gli stessi Finzi Contini : anch’essi esistevano davvero e sono morti tragicamente, solo che si chiamavano Finzi Magrini. Il professor Ermanno era davvero un professore, la famiglia davvero chiusa in un aristocratico riserbo, il figlio morto giovane per una malattia crudele. C’era anche una figlia, ma non era Micòl. Micòl resta un personaggio particolare, sfuggente: un collage di molte figure femminili, una delle quali, ma non la più importante, giocava veramente a tennis con Bassani e indossava lo stesso tipo di calzoncini che nel romanzo indossa Micòl. Bassani ha sempre sostenuto che la ragazza riassume un certo numero di donne che ha amato e frequentato. Secondo Roseda Tumiati, amica d’infanzia dello scrittore, potrebbe essere sua sorella Caterina, bionda, occhi celesti, dolcissima. Giorgio ne era innamorato. Ne ha amata un’altra: piccola, enigmatica, affascinante. E poi c’era un’altra a Bologna che giocava bene a tennis. Il romanzo, pubblicato nel 1962, è una malinconica e struggente storia ambientata in un tragico periodo della nostra moderna storia, che pone ancor oggi interrogativi difficili e dolorosi. Il libro, alla sua uscita, in poche settimane vendette oltre 100mila copie, vinse il premio Viareggio, ebbe importanti recensioni. Nel 1970 il film di Vittorio De Sica: ebbe un enorme successo e vinse l’Oscar.

L’enigma della famiglia. Solo in anni recenti è stato svelato l’enigma della famiglia ebraica di Ferrara. Ad un giornalista del “Resto del Carlino”di Bologna che gli chiedeva la vera identità dei Finzi Contini, Bassani era stato chiaro: mi sono ispirato – disse - alla famiglia del professor Magrini. La conferma è arrivata anni fa da alcuni fogli sepolti dentro uno degli armadi dell’archivio nazista di Bad-Arolsen. Il dossier porta una semplice intestazione: “Magrini Silvio”. Le carte all’interno non lasciano dubbi. E così apprendiamo che Silvio Magrini era nato a Ferrara l’8 gennaio 1881. È lui, dunque, Silvio Finzi-Magrini, dal nome originario, l’uomo che ha ispirato in Bassani la figura di Ermanno Finzi-Contini, padre di Micòl. La tragedia dei Magrini ricalca in maniera impressionante la storia dei Finzi Contini. Silvio Magrini,, arrestato il 16 ottobre 1943, arrivò nel lager di Fossoli nel dicembre dello stesso anno. Era di sua proprietà quello splendido giardino, sul quale ogni tanto si affacciava dopo aver trascorso molte ore nella sua biblioteca, immerso negli amati studi di agraria, fisica, storia. I Magrini abitavano a Ferrara in via Borgo Leoni, ed erano tra le persone più in vista della città. La famiglia era composta oltre che da Silvio, dalla moglie Albertina, la madre Elisa, i figli Giuliana e Uberto.Il professore e la moglie deportati nei lager nazisti, il figlio morto di leucemia.

Il romanzo e la polemica. Nel 1962, quando il romanzo venne pubblicato da Einaudi, a Ferrara divampò un’aspra polemica. Ad accenderla fu Marcello Pesaro, ingegnere e capo per molti anni della comunità ebraica ferrarese, marito di Giuliana Magrini. Riteneva di aver identificato, nel professor Ermanno Finzi Contini, il suocero Silvio Finzi Magrini. Ma Giuliana e Micòl potevano essere la stessa persona? Bassani negò. Ha sempre negato. Del resto Andrea Pesaro, figlio di Giuliana, ha sempre sostenuto che sua madre era una donna cordiale, estroversa, sorridente, colta, diversa dal personaggio del romanzo. E pur riconoscendo l’ispirazione di Bassani nei Magrini, ha sempre respinto l’associazione con i personaggi del libro. Un’ulteriore prova sull’accostamento, nel romanzo, tra i Magrini e i Finzi Contini, si trova in un documento che il Museo dell’Olocausto di Washington ha in anni recenti inviato allo Yad Vashem a Gerusalemme. Si tratta di una lettera che l’allora prefetto di Ferrara, Villasanta, invia il 4 agosto al Ministero dell’Interno a Roma. L’oggetto è: “Campi di tennis proprietà degli ebrei”. Il prefetto scrive: “Una ricca famiglia ebraica di questo capoluogo è proprietaria di un campo da tennis che da qualche tempo viene giornalmente frequentato oltre che dagli israeliti anche da diversi ariani loro conoscenti”. Il riferimento è evidentemente al campo di gioco situato nel giardino dei Magrini, usato dai ragazzi ebrei e non. E molti di quei giovani erano stati espulsi dal prestigioso circolo “Marisa d’Este”: tra loro anche il giovane Bassani.

I lutti e la deportazione. Quando Bassani scrisse il suo romanzo, i protagonisti erano tutti morti. A partire da Alberto, che morì di leucemia nell’inverno del 1943. Alberto altri non era che Uberto Magrini, figlio di Silvio, stroncato da un linfogranuloma, l’unico sepolto nella grande tomba di famiglia a Ferrara. Silvio e la moglie furono deportati a Buchenwald, proprio come Ermanno Finzi Contini e la moglie Olga. E Giuliana? Nel 1934 sposò appunto Marcello Pesaro. Ebbe due figli, Andrea e Renata. Riuscì a rifugiarsi in Svizzera, Alla fine della guerra partorì l’ultimo figlio, lo chiamò Silvio come suo padre morto nel lager. Giuliana morì dieci anni dopo. È sepolta nel cimitero ebraico di Ferrara.

Il giardino nascosto. Come dicevo prima, è capitato più di una volta che qualche turista di passaggio abbia domandato dove si trova il Giardino dei Finzi Contini. E tutti hanno sempre risposto che il famoso giardino in fondo a Corso Ercole I d’Este, la via più bella della città, in realtà non è mai esistito. Là, in fondo a quella strada da sogno, Bassani ha trasportato con la sua fantasia un giardino aristocratico, ricco di piante esotiche, che aveva visto nelle vicinanze di Roma. Se la domanda fosse rivolta a me, esiterei a lungo. E avrei perlomeno la tentazione di condurre gentilmente quel turista in fondo alla strada, tra gli orti e i prati che precedono le Mura. Per dirgli che quel giardino, così struggentemente e dolorosamente rievocatore di un certo passato, è realmente esistito, proprio lì , in quella grande radura, distrutto dalla guerra, dagli eventi, dalla indifferenza degli uomini o forse soltanto dagli anni. E aggiungerei che su tutte le cose vive e defunte, su tutti i morti , anche su quelli che, come i Finzi Contini, non hanno trovato una tomba, sui corpi e sulle ombre e sulle foglie ingiallite scende, unica consolazione, “l’insensibile carezza, la nebbia leggera” del tempo.