L'INTERVISTA

Ferrara: «Troisi mi ha segnato per sempre»

Il saprese Gerardo fu la controfigura dell’attore napoletano nel film “Il Postino”: una persona unica, semplice e sensibile

Il saprese Gerardo fu la controfigura dell’attore napoletano nel film “Il Postino”: una persona unica, semplice e sensibile Lo sguardo intenso, quasi malinconico e i capelli neri, ricci, sono gli stessi. La voce anche, ma la sua trema perché rotta dall’emozione. Venticinque anni dopo, Gerardo Ferrara restituisce un ricordo di Massimo Troisi per nulla sbiadito, i suoi racconti così vivi accorciano le distanze della memoria da quel 4 giugno 1994 e cancellano in parte quel gran vuoto che la sua morte ha lasciato. Due mesi prima, Gerardo Ferrara, saprese, all’epoca 31enne, insegnante, divenne la controfigura di Troisi in molte scene del suo ultimo film “Il Postino”.

Sono passati venticinque anni da quel 4 giugno 1994. Come ricordi quel momento?

Ero con mia moglie Elena alla stazione di Sapri, eravamo appena scesi dal treno di ritorno da Salina, dove erano state girate le ultime scene del film. Un amico che era venuto a prenderci ci disse che l’Ansa aveva appena dato la notizia della morte di Massimo Troisi. Io ed Elena restammo in silenzio per molto tempo.

Tua moglie Elena era incinta del vostro primo figlio, giusto?

Elena mi aveva raggiunto sul set proprio per dirmi che era incinta, Troisi la prendeva in giro e scherzando le diceva: «Nascerà Pablito, nascerà Pablito», come suo figlio nel film. Nostro figlio, però, lo abbiamo voluto chiamare Massimo, come lui. Destino ha voluto che due anni dopo, alla nascita del vostro secondo figlio, la presenza di Massimo Troisi si facesse nuovamente sentire. Il nostro secondo figlio, Gaetano, è nato il 4 giugno 1996, esattamente due anni dopo la morte di Massimo Troisi. Un regalo bellissimo sentire la sua presenza quel giorno.

Ma come ti sei ritrovato ad essere la controfigura di Troisi ne “Il Postino”?

Claudia, una ragazza di Sapri, fidanzata con un ragazzo che lavorava nella produzione del film, mi chiese di darle due mie foto. Serviva una controfigura per sostituire Massimo Troisi, nelle scene più faticose e difficili, perché non ce l’avrebbe fatta a girare quelle in cui il personaggio avrebbe dovuto pedalare. Così dopo due giorni mi chiamarono per un incontro a Roma a Cinecittà, dove incontrai il regista, Michael Radford, e Philippe Noiret, che nel film era Pablo Neruda. Massimo quel giorno non c’era. Pochi giorni dopo iniziammo le riprese e lo incontrai per la prima volta.

Come fu quell’incontro?

Indimenticabile. Mi abbracciò e mi disse «Tu mo’ ti fai verè?». Così iniziò a nostra avventura.

Com’era Massimo?

Un mito, era unico davvero. Una persona bella, sensibile, semplice, umile. Trattava tutti allo stesso modo, si preoccupava per tutti. Il clima sul set poi era familiare, tutti erano attenti a non farlo stancare, soprattutto all’isola di Salina. Anche se debilitato è riuscito a girato tutto il film. Lo ha fatto come da copione fino all’ultimo giorno, perché voleva farlo a tutti i costi.

C’è un aneddoto simpatico di quei giorni di riprese?

Dovevo rientrare a Sapri per prolungare il periodo di aspettativa nella scuola in cui insegnavo a Padula. Troisi per accertarsi che io tornassi sul set, prese un libro di scena e fece una bellissima dedica al preside di allora, che ha conservato gelosamente.

Ricordi l’ultima volta che vi siete visti?

Mi abbracciò forte promettendomi che sarebbe venuto quanto prima a trovarmi a Sapri, per riposarsi un po’. Il giorno dopo il suo cuore ha smesso di battere. Era nata una bella amicizia, anche se è durata per poco.

Cosa ti porti di quell’esperienza?

La mia gioia più grande è di aver contribuito a rendere meno faticoso il suo lavoro in un momento di sofferenza della sua vita. Me lo scrisse anche in una dedica che mi fece sul libro di scena delle Poesie di Neruda, che conservo gelosamente: «A Gerardo per la disponibilità, la pazienza e l’abnegazione con la quale ha reso più piacevole e meno faticoso il mio lavoro sul film “Il Postino”. Ti auguro mille successi, grazie.

Marianna Vallone