Epopea di Ruggero II il re normanno che inventò la seta

Lo sviluppo economico, i cambiamenti, la politica nella lunga e gloriosa storia del Principato di Citra

di GIUSEPPE RESCIGNO

Con l’avvento dei Normanni, nel Sud si affermò una nobiltà laica ed ecclesiastica che sulla base di un regime delle terre e di una struttura economico-sociale, propria delle signorie fondiarie, si organizzò in un sistema politico e militare di stampo «feudale». La loro vittoria, dunque, non contrastava con la volontà conservatrice dei ceti dominanti preesistenti, che in massima parte traevano dalla terra e dalla signoria fondiaria le fonti del loro potere politico e della loro ricchezza. I sovrani normanni si trovarono perciò in pieno accordo con i vecchi e i nuovi dominatori nel far ruotare intorno al possesso fondiario, all’agricoltura e alla pastorizia la vita economica. Costretti ad importare tutti i generi non prodotti dalla terra, potendo contare come contropartita esclusivamente su quelli, impressero un forte impulso alla produzione cerealicola. D’altra parte, l’inesorabilità di un sistema fiscale a senso unico, rivolto esclusivamente contro i non privilegiati, costituiva un serio ostacolo alla promozione di iniziative o innovazioni nel mondo del commercio e della produzione. Il commercio incontrò scarso interesse tra i sovrani normanni. Re Ruggero II, che ne aveva compreso l’importanza, promosse dei regolamenti che potessero avvantaggiarlo. I contenuti possono rilevarsi nel diploma di concessione per la città di Messina (15 maggio 1129) sul quale furono uniformati quelli di Napoli, Salerno e Palermo. In particolare, il re autorizzò un foro privilegiato per la gente di mare e gli addetti al commercio e volle che fra costoro fossero scelti dei consoli «peritissimi» per la formazione di regolamenti. Ruggero favorì anche l’introduzione di diverse arti e manifatture nel Regno con particolare attenzione «ai lavori di seta che furono allora tra i primi in Italia».

Ne risentì positivamente anche la coltura del gelso e la trattura della seta. Inoltre acquistarono importanza le manifatture dei tessuti di porpora e di oro, la lavorazione dei panni, delle tele, delle pelli, del ferro e dell’acciaio. Il commercio in genere incontrò seri ostacoli a causa delle pessime condizioni delle comunicazioni. Per la costruzione di strade, passaggi, canali di comunicazione, porti e bonificazioni varie vennero imposti vari gravami, come diritti di passo, porto, ancoraggio, ripatico, scafaggio ed altri simili, ma il più delle volte gli utili ricavati da tali dazi venivano distratti da nuovi bisogni «come di guerra o altri simili accidenti», per cui venendo meno la manutenzione quelle opere finivano col deteriorarsi.

Nel Principato, a risentire degli effetti negativi di tale politica economica fu soprattutto Amalfi, che pure era in grado nell’XI secolo di reggere la concorrenza delle maggiori repubbliche marinare. Con l’avvento dei Normanni la città perdette non solo la sua indipendenza ma anche ogni possibilità di espansione proprio negli anni in cui le Crociate assicuravano immensi profitti a quanti erano in grado di costituire grandi flotte mercantili e militari. Inoltre l’annessione di Amalfi al Regno (1131) espose la città all’aggressione di Pisa che mal sopportava la sua supremazia mercantile. Infatti Pisa, interrompendo i rapporti di alleanza mercantile che pure aveva stretto con Amalfi, nel 1135 e nel 1137 la cinse di assedio. La conquista normanna e l’aggressione dei Pisani se segnarono un momento di crisi politico-istituzionale del ducato di Amalfi non danneggiarono più di tanto la sua economia in quanto - come sostiene Pistarino - non di vera e propria recessione economica si deve parlare, quanto piuttosto di un freno all’espansione in concomitanza dell’affermazione delle potenze di Pisa e Genova. Infatti il protettorato prima e il dominio normanno dopo apportarono vantaggi sensibili ai mercanti amalfitani sotto forma di lucrose concessioni commerciali e maggiore libertà di movimento, come è confermato dalle molteplici colonie fondate in tutti i centri più importanti dell’Italia meridionale e della Sicilia accanto alle altre preesistenti. Tuttavia, con la perdita del monopolio della distribuzione dei prodotti orientali, si allentarono i rapporti tra Amalfi e le sue colonie, che col tempo finirono col diventare autonome nei rapporti con le altre piazze mercantili.

Allo stesso tempo si sfaldò anche il legame tra Amalfi e gli altri centri del Ducato. La diaspora, che si fa risalire ad un periodo compreso tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo, segnò appunto il distacco da Amalfi dei centri satelliti di Ravello, Tramonti, Scala, Maiori, Minori, Atrani e Cetara che avviarono relazioni autonome nel commercio con le piazze mercantili della Puglia, del Molise, della Campania e della Sicilia. Verosimilmente l’inizio della diaspora si può retrodatare all’epoca dell’annessione di Amalfi al Regno (1131), come sembra dimostrare un episodio risalente all’anno 1137, cioè a quando Amalfi, assediata dai Pisani, accettò di pagare un riscatto in oro per sfuggire al saccheggio. In quella occasione Scala e Ravello, anch’esse sotto assedio, preferirono optare per la difesa ad oltranza. Salerno, sotto il dominio longobardo, dopo un periodo di decadenza, rinacque grazie all’accorta politica di Arechi II che si adoperò per acquisire uno sbocco sul mare e a controllare così un nodo viario all’incrocio con la Capua-Rhegium con le vie per Napoli da un lato e per Avellino e Benevento da un altro. La capitale del Principato, sprovvista di un porto, era dotata solo di un semplice approdo, non certo più frequentato di quelli di Vietri, Cetara o della foce del Sele. Tanto è vero che nel 787 l’ambasceria bizantina diretta a Salerno fu costretta a sbarcare ad Agropoli.

Già opulenta sotto Arechi, Salerno si affermò come piazza di commercio in seguito alla conquista di Amalfi da parte di Sicardo (836), che vi trasferì un nutrito contingente di Amalfitani allo scopo di innestarvi un nucleo di mercanti navigatori in grado di promuovere il decollo commerciale della città attraverso le vie marittime. Alla morte di Sicardo (839) gli Amalfitani fuggirono tumultuosamente da Salerno. Ma, in seguito, gradualmente vi fecero ritorno nel corso della seconda metà del IX secolo,. consolidando nella nuova residenza il loro interesse per il commercio via mare. Praticamente contigue, le colonie degli Amalfitani e degli Ebrei costituirono «le punte avanzate dell’economia mercantile salernitana per i commerci a lunga distanza. Questa evoluzione economica dovette imporsi nel corso del X secolo, accompagnata dalla costruzione del porto, di cui non è traccia nel IX, mentre appare già funzionante nell’XI».

La conquista del Principato da parte di Roberto il Guiscardo (1076) rappresentò per Salerno un momento di ulteriore rilancio politico ed economico. I Normanni accentuarono il carattere di capitale della città con la costruzione di un’imponente cattedrale e di un palazzo signorile.

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