CARTA GIALLA

E Capri difese i suoi tesori

Nel 1922 il sindaco Cerio organizzò un convegno per evitare la spoliazione dell’isola

Di sindaci famosi delle grandi città d’arte, come La Pira a Firenze o Argan a Roma, nella storia d’Italia del secolo passato ce ne furono diversi, ma il sindaco di una piccola isola del Tirreno, Capri, riuscì - in nome dell’arte e della cultura - a legare a essa indissolubilmente il suo nome e ad aumentarne il prestigio internazionale. Ai tempi della “Belle Epoque” e fino alla fine della Grande Guerra, Capri era solo una meta di svago mondano e stravaganze radicali per il turismo elitario, italiano e “mitteleuropeo”, che vi si muoveva - anche con qualche deroga alle norme - suggestionato, forse, dal mito delle sregolatezze imperiali di Tiberio. Poi, nel 1920, qualcosa di nuovo accadde a Capri: alla carica di sindaco viene eletto un singolare nativo dell’isola, Edwin Cerio (1875-1960). Figlio di Ignazio, medico, naturalista e storico di Capri, dopo la laurea in ingegneria e un ventennio di intensa attività come progettista navale, ferroviario e meccanico, tra Europa e America Latina, per conto di grandi gruppi industriali (Krupp, Ansaldo, Fiat), Edwin, al culmine della carriera professionale, decide di ritornarsene a Capri e candidarsi per la carica di sindaco. In quell’anno 1920, su proposta di Benedetto Croce, ministro della Cultura nel Governo Nitti, veniva discusso in Parlamento un disegno di legge di “tutela della Natura e del Paesaggio nazionale in Italia”, definitivamente approvato come legge dello stato nel giugno 1922 (L. 778/1922). L’ambiente dell’isola che Edwin Cerio aveva lasciato nel 1906, stava avviandosi intanto lungo la deriva di una progressiva distruzione del secolare equilibrio tra natura e spazi costruiti, la sorte solitamente riservata ai luoghi ambiti dall’allora nascente industria turistica e dalla conseguente rendita edilizia, aggrediti sotto l’occhio distratto dell’autorità preposte alla loro tutela.

Cerio, che aveva accettato le funzioni di Regio Ispettore Onorario dei Monumenti, proprio in ragione dell’inerzia assoluta della Sovrintendenza napoletana, nell’anno del Convegno con una lettera di fuoco inviata all’allora Sovrintendente di Napoli, Vittorio Spinazzola, presentò le sue dimissioni, motivate dalla «indecorosa trascuratezza nella quale questa isola è stata sempre vittima da parte di cotesta Sovrintendenza e per la dilapidazione sistematica che è stata compiuta di tutte le memorie e dei resti della grandezza romana di Capri, del paesaggio della isola e di quella gloriosa Certosa che ha avuto la sfortuna di capitare nelle mani di codesta amministrazione e che ben presto, io mi auguro, il Comune di Capri da me presieduto e la popolazione sapranno strappare allo indegno sfruttamento che se ne compie e alla rovina completa che se ne prepara da codesta amministrazione». Il j’ accuse di Cerio è da leggersi per intero da chi voglia comprendere quanta secolare insipienza, colpevole distrazione se non aperta connivenza, abbia troppo spesso caratterizzato le italiche propaggini dei ministeri sul territorio (la lettera è in R. De Angelis Bertolotti, “Capri. Dal Regno d’Italia agli anni del fascismo”, Napoli 2001, pp.174-176). In quello stesso anno, mentre la speculazione edilizia e il disordine urbanistico muovevano in Italia i primi passi, Capri, per volontà del suo sindaco, fu sede, tra il 9 e l’11 luglio 1922, del primo convegno in Italia dedicato al tema della tutela paesaggistica, i cui atti furono a cura di Cerio raccolti in un raffinato volume, edito a Napoli da Casella nel 1923, ristampato in anastatica nel 1993 dalle edizioni capresi “la Conchiglia”. Dopo il convegno del 1922 anche la stampa del tempo, che fino ad allora s’era occupata di Capri solo per la cronaca mondana, fu obbligata a considerare i pericoli incipienti per l’ambiente dell’isola. Gli anni del sindacato di Cerio, dal 1920 al 1923, furono contrassegnati da una intensa parallela attività di scrittore sui temi a lui cari: “La casa di Capri ed il regolamento edilizio” (1922), “Il giardino e la pergola nel paesaggio di Capri” (1922), “La casa nel paesaggio di Capri” (1922) che a pag. 4 ha il brano “sovranista” che riportiamo: «Capri, terra di artisti e di poeti, meta di sognatori, va diventando l’Eliseo dei forestieri.

Ed il blasone della nuova nobiltà del danaro si sovrappone alle impronte che vi ha lasciato la storia. E sul paesaggio, sulla edilizia, su tutte le cose che portavano il marchio della bellezza mediterranea, minaccia di affermarsi il segno rapace della mano rampante in campo d’oro, lo stemma del pescecane». Il convegno da lui voluto fu inaugurato la sera del 9 luglio nei Giardini di Augusto, a Villa Krupp; tra gli invitati Adolfo Avena, Marcello Piacentini, Ugo Ojetti, Francesco Cilea, Salvatore Di Giacomo, Ernesto Murolo, Vincenzo Gemito, e una pattuglia di futuristi capeggiata da Prampolini e un eccitatissimo e provocatorio Marinetti, che nella sua orazione, a sorpresa, auspicò la costruzione di un caffè con ascensore in cima ai Faraglioni. Il convegno, come riportò il notiziario della rivista “Architettura e Arti decorative” si chiuse «con un voto, alquanto generico, affermante la necessità che un opportuno e ben studiato regime delle nuove costruzioni potesse conciliare le esigenze dello sviluppo edilizio con quelle della bellezza e del carattere tradizionale dei luoghi. Il risultato, come vedesi, è poco concreto e molto accademico. Ma non importa, ché i voti dei Congressi non hanno mai servito a nulla».

Pur riconoscendo a quella esperienza di un secolo fa l’importanza che essa merita, per parte nostra non s’è voluto qui - sia chiaro - inutilmente esaltare l’importanza della “legge Croce”, l’incidenza effettiva del Convegno caprese e l’impostazione teorica di Edwin Cerio sul concetto di tutela paesaggistica, i cui limiti oggettivi furono già evidenziati da Roberto Pane e ben argomentati con un saggio, inserito nell’edizione anastatica degli atti del Convegno, da Alberto G. White, il quale riconosce a Cerio il merito di aver «colto alcuni nodi fondamentali relativi alla conservazione del paesaggio e dell’ambiente... dovendo fare i conti con una serie di condizionamenti esterni e l’impossibilità di prevedere… gli esiti disastrosi del turismo di massa». Dopo tutto dovranno passare ancora diciassette anni per arrivare alla prima legge organica sulla protezione delle bellezze naturali, la L. 1497 /1939, e poi all’articolo 9 della Costituzione repubblicana, e poi alla Legge Galasso; ma purtroppo, dopo un secolo di leggi, convegni, libri e dibattiti inframezzati - tanto per complicare le cose - da diverse leggi statali di condono edilizio, da parte di troppi italiani, ancora non s’è capita la lezione di base: che la natura, come le libertà, chiede dei limiti.