Difficili e speciali I ragazzi autistici visti dai genitori

Un racconto-testimonianza scritto dai familiari Domani alla Feltrinelli la presentazione del volume

di MONICA TROTTA

Raga. zzi speciali ma difficili da gestire, famiglie sole, abbandonate dagli amici e dallo Stato, e poi lo sconforto, la paura, le ansie per il futuro ma anche l’amore dei genitori ricambiata dalla dolcezza di figli davvero unici. Un figlio autistico raccoglie tutte queste esperienze e chi meglio di suo padre e sua madre può raccontare che cosa significhi averlo in casa. Lo hanno fatto diversi genitori scrivendo un racconto corale, commovente e anche duro, un racconto a “cento mani” raccolto nel libro “Basta, vado a dormire” curato dalla salernitana Rita Francese, una delle madri-scrittrici. Il libro (pg. 208, euro 14, AAVV, Les Flàuners) sarà presentato domani alle 18 alla libreria Feltrinelli di Salerno.

Il primo dolore è la diagnosi della malattia. Mara, mamma di Flavio lo ricorda così: «Ricordo ancora quando ce lo comunicarono: “Signora, deve essere forte, la situazione non è quella sperata, suo figlio… è autistico”. La dottoressa continuava a parlare, illustrava la casistica, e io, intanto, me ne stavo lì su quella sedia, ferma solo su quella parola: autistico, autistico, autistico. Mi echeggiava nella testa, batteva al ritmo del mio cuore. No, non stava parlando di mio figlio. Lui era così piccolo, così bello. Non gli sarebbe dovuto succedere niente. Io glielo avevo promesso appena nato. La sua avrebbe dovuto essere una vita fantastica, meravigliosa. Perché, perché, perché». E poi c’è il dolore delle sorelle, come quello di Giovanna che racconta il suo Checco: «“Parlami!” urlai. Ma lui non parlò. Quello fu il primo di tanti dolori e fu anche il giorno in cui io divenni grande. Non c’era nessuna stella e nessun miracolo, il mio Checco non parlava».

Il racconto delle giornate passate con questi ragazzi è a tratti drammatico: sono spesso violenti, buttano oggetti dalla finestra, vanno sempre sorvegliati anche di notte per cui i genitori passano notti insonni, si spogliano a scuola o in altri luoghi pubblici, ripetono le stesse frasi in continuazione, costringono a stravolgere le abitudini della famiglia, a organizzare in maniera particolare la casa, i mobili. Non si riescono a incontrare più le persone, gli amici si allontanano, i familiari pure, lo Stato è assente. E ti costringono anche a piccoli sotterfugi, come racconta Rosanna che descrive con un pizzico di ironia il suo “vivere strano”: «Avete presente Verdone con “lo famo strano”? Ecco noi “viviamo strano”. A volte anche sorridendo un po’. Francesco, come molti ragazzi come lui, ama il cibo e noi siamo costretti a nasconderglielo per evitare che diventi un armadio. Ah, dimenticavo la regola d’oro: chiudere sempre il frigo col “lucchetto”. A volte immagino il pensiero di un eventuale ladro. Oltre ad altre piccole difficoltà quotidiane: ho dovuto togliere la tenda dal bagno e gli asciugamani (ognuno lo porta con sé e lo riporta via), idem sapone, shampoo, dentifricio, ecc. Casa nostra? Una continua caccia al tesoro».

L’aspetto che colpisce di più nel libro è quello della solitudine, dell’indifferenza delle famiglie “normali” verso quelle che hanno il problema di un figlio autistico, indifferenza che spesso sconfina nella cattiveria come quando si chiede a un genitore di non far partecipare il figlio autistico alle recite di Natale perché «il filmino per i nonni non viene bene, viene disturbato». Oppure quando un’amica consiglia di «non farlo partecipare alla gita perché non capisce niente».

O la richiesta fatta a un genitore, esplicita e dolorosa, mentre è in corso una festa di bambini a cui partecipa anche il ragazzo autistico: «Porta fuori tuo figlio perché ora il fotografo farà le foto ai bambini intorno alla torta». «Le mamme dei compagni di classe di mio figlio – è il racconto di una mamma – si sono preoccupate di sapere dove e quando frequentasse il catechismo. Il motivo di tanta “curiosità” è solo “così, per sapere” a detta di alcune. Altre più “sincere” si sono preoccupate di comunicarmi il loro punto di vista: “A che serve fargli fare la comunione se non capisce?”».

Cristina, nel suo racconto intitolato “Solo un caffè”, scrive con disarmante sincerità: «La nostra speranza non è tanto di vedere i nostri figli “guariti”, perché questo è il modo di vivere e vedere la vita che loro hanno. Non c’è un “virus autismo”. La speranza è che i pregiudizi delle persone finiscano. È già difficile così, non ci serve essere criticati e biasimati, mentre, ci servirebbe essere invitati per un caffè».

“La solitudine” la racconta con grande efficacia Annalisa, madre di due figli autistici: «Amici scomparsi, volatilizzati. Le telefonate ormai arrivano solo a Natale e a Pasqua, e non sempre rispondiamo. Non siamo più nipoti, né zii, né cugini, né fratelli di nessuno. Siamo una razza a parte. Siamo quelli toccati dagli “untori”». Ma qualcosa di positivo in mezzo a tanta indifferenza, c’è: Emma con il marito ha portato il figlio dal dermatologo, è preoccupata perché G. diventa irrequieto, combina disastri, emette dei versi quando è in un luogo affollato. E tale è la sala d’attesa di un medico. G. inizia a emettere gorgheggi verso una ragazzina, sua madre però gli sorride e dice: «Lui si fa capire con lo sguardo». «Non avete idea – racconta Emma – di quanto sia di sollievo incontrare una persona che capisca. Quando trovi persone così, ti si alleggerisce un po’ il cuore».

Ma è l’amore dei genitori a vincere su tutto. Ugo, nel suo “Amore contro autismo”. «Un giorno mi resi conto che lei ai miei occhi era normale così, con tutte le sue stranezze». Rita, la madre di Oreste: «Questo è il vero miracolo dei nostri giganti: sono dei teneroni, ti guardano con quella luce negli occhi piena d’amore in un modo in cui nessuno ti ha guardata mai. Per questo non possiamo abbandonarli».

Infine c’è l’aspetto dell’assistenza: le famiglie sono costrette a pagarsi da sole l’assistenza privata in casa, non sempre i centri sono disponibili ad accettare i ricoveri, mancano progetti di inserimento sociale. I genitori non sanno quello che succederà quando loro non ci saranno più. Scrive Fiamma: «La mia principale preoccupazione in questo momento è il futuro, sto cercando la nostra àncora».

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