L'appuntamento

Democrazia come dovere 

Oggi incontro sulla legalità con Conte, don Manganiello, Tano Grasso e Roberti 

Perché a qualche mese dalle elezioni politiche un giornale, una fondazione culturale e un’associazione anti-camorra decidono di interrogarsi su un tema composto da tre lemmi sensibili, legalità, governabilità e politica? La risposta diplomatica, tipica di questi casi, è che la coincidenza con il clima elettorale sia casuale. Invece non è così. C’entra il clima elettorale e c’entra questa snervante vigilia, perché abbiamo colto nell’utilizzo lobbistico della politica e nel disinteresse clamoroso per la stessa due facce di una stessa medaglia sfigurata e corrosa dal tempo, simbolo della crisi dello Stato e della vita pubblica contro la quale occorre azionare una risposta civica.
Il principio di legalità, che è concetto molto diverso dalla cultura della legalità per la quale il volontariato italiano e l’informazione più sensibile e consapevole appaiono impegnati in prima linea quotidianamente, impone che i pubblici poteri agiscano secondo la legge: in quest’ottica è possibile anche la discrezionalità, ma giammai l’arbitrio. Dal canto suo, poi, la politica è, ad un tempo, una teoria e una prassi: entrambe hanno la finalità intrinseca di organizzare e gestire lo Stato. Anche qui è inevitabile il riferimento imprescindibile alla legge che sostiene e sospinge il potere decisionale, mantenendolo nel solco della storia. I due temi – la legalità e la politica – sfociano quindi in quello della governabilità, che indica “semplicemente” la capacità di governare. Un concetto, quest’ultimo, che decliniamo il più delle volte al negativo, quando quella capacità e abilità di far quadrare conti e azioni della vita pubblica vanno in crisi, proprio come accade in questo nostro tempo rissoso e incerto.
Abbiamo avuto presente proprio questa realtà difficile quando abbiamo deciso di organizzare l’incontro di domani sera alla Camera di commercio sul tema “Legalità, governabilità e politica”; abbiamo inteso cioè dare una prima risposta concreta alla tanto amplificata crisi dei mass media, consapevoli come siamo che le difficoltà economiche e finanziarie del nostro settore si contrastano, oltre che con sane ed efficaci politiche editoriali, anche con la copertura di spazi sociali di analisi e dibattito che i lettori considerano, da tempo, come i luoghi smarriti e un po’ desertificati della imperfetta democrazia.
Nella nostra società, da più di cinquant’anni, vive una generazione che non è più quella della guerra fredda, ma che ha conosciuto una guerra e un dopoguerra diversi, estesi e interminabili: in particolare quelli del tragico combinato “inflazione più disoccupazione”, misurabili con lo spaventoso indice della miseria.
Situazione tesissima e angosciante, che rende ormai impossibile un’adozione illuministica del concetto di legge, intesa come previsione giusta di comportamenti e di scelte.
Per questi strettissimi legami tra politica, decomposizione del tessuto economico-produttivo, ampliamento dell'area di indigenza, con speculare crisi della legalità e della giustizia, abbiamo chiamato al tavolo dei relatori un avvocato penalista (Federico Conte), che vive da protagonista anche la scena politica; un prete anticamorra politicamente “poco corretto” ma simbolo di dedizione e di sacrificio laico nella difesa costante degli ultimi (Aniello Manganiello, garante nazionale del Premio Borsellino); il più decisivo avversario del racket in Italia e tra i più presenti intellettuali contro le mafie (Tano Grasso); infine Franco Roberti, consigliere del Ministero degli Interni per il terrorismo e la criminalità organizzata, fino a poche settimane fa Procuratore nazionale antimafia. Insieme a loro cercheremo di fare il punto della complicata situazione, capire se il nuovo Codice antimafia è un regalo o uno schiaffo al paese, verificare perché molte importanti norme per decenni non sono state applicate in materia di trasparenza delle società di capitali o sulle cessioni degli esercizi commerciali, verificare con spettatori e lettori se, per caso o per accidente, il problema non passa soltanto per le leggi, come noi crediamo, ma soprattutto per la cultura della convivenza e, quindi, per una rifondazione etica di cui la base sociale avverte la necessità imprescindibile. Tradotto in un’espressione di sintesi, questo travaglio che noi abbiamo colto è il sintomo di una “cultura democratica” repressa ma in via di risveglio. Lo abbiamo intuito dalla sensibilità (e anche dal silenzio) con cui i nostri lettori ci hanno manifestato l’attesa trepida e a tratti ansiosa per un rinnovamento radicale. D’altra parte, che cosa è la cultura democratica se non una domanda di cambiamento? Con il ’900 sono finite le grandi scuole del riformismo italiano. Riproporre un quadrante di nuove opzioni possibili, lungo quella scia, significa alimentare discorsi costruttivi che allontanino malaffare, lobbismo insinuante e incrostazioni clientelari e favoriscano una ripresa democratica al di fuori di modelli rigidi e arcaici. Non è impossibile, ma la politica dovrà superare l’attuale stallo, che non è di solitudine ma di isolamento. È nella prima che il potere, seppure debilitato, continua a dare risposte; l’isolamento è voluto, invece, da chi si sottrae ai controlli e va smascherato, perché gioca con il bene comune. Naturalmente quest’obiettivo sarà possibile agguantarlo soltanto a condizione che si rialzi la cultura politica collettiva. Per questo abbiamo voluto rivitalizzare il confronto, mettendo in moto la rete dei lettori de “la Città” e facendola interagire con quella di altre strutture impegnate, per altro verso e in diversi settori, nel grande flusso della partecipazione democratica che invoca sicurezza, lavoro, diritti umani e nuova rappresentanza, ritenendo intollerabili l’oppressione del potere ottuso e il relativo controllo clientelare.
Appuntamento quindi domani alla Camera di Commercio, alle 17 (fino ad esaurimento dei posti).
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