PASSAGGIATE NELLA STORIA

Della Corte, interprete delle epigrafi di Pompei

L’archeologo di Cava de’ Tirreni descrisse e interpretò le tante iscrizioni che emergevano dagli scavi: divenne leggenda

Se oggi l’antica Pompei - la città sepolta dall’eruzione del Vesuvio del 79 d. C. - ci è sotto tanti aspetti nota e possiamo ricostruirne e interpretarne il passato, grande merito va a Matteo Della Corte, figlio illustre di Cava de’ Tirreni, che per alcuni decenni documentò la storia di questo importante e attivissimo centro dell’area vesuviana. Della Corte ricostruì, dopo molti anni di studio certosino, anche la “Groma”, un fondamentale strumento che usavano gli antichi romani per la misura dei terreni. Archeologo, tra i maggiori epigrafisti e lettori di graffiti italiani, laureato in Giurisprudenza e in Lettere, membro di numerose Accademie italiane ed estere, si dedicò per quasi sessant’anni allo studio degli scavi di Pompei. Nel 1933, al Congresso di Studi Romani fece straordinarie rivelazioni sul periodo più oscuro della vita di Augusto, attraverso la presentazione di documentazione di graffiti scoperti sui muri di Pompei. Tra l’altro identificò, in località “La Starza”, a Somma Vesuviana, la dimora dove si spense l’imperatore romano.

Ma la scoperta più significativa fu quella relativa alla presenza dei cristiani a Pompei anteriormente al 79 d. C. con il ritrovamento di esemplari dell’ormai famoso crittogramma del Pater Noster. Matteo Della Corte nacque a Licurti di Cava de’ Tirreni il 13 ottobre 1875. Completati gli studi classici presso il liceo della locale Badia Benedettina, frequentò, a partire dal 1895, la facoltà di Giurisprudenza all’Università di Napoli. Subito dopo la laurea, superato un concorso nella pubblica amministrazione, iniziò a lavorare alla Soprintendenza presso gli scavi di Pompei, alle dipendenze prima di Ettore Pais, poi di Antonio Sogliano e di Vittorio Spinazzola. Stabilì la propria residenza a Pompei, dove, già alcuni anni prima, aveva conosciuto Bartolo Longo, fondatore del Santuario della Beata Vergine del Rosario. Nei suoi studi, cui si dedicò per molti anni, furono descritte, interpretate e ordinatamente archiviate le numerosissime iscrizioni che venivano alla luce nel corso degli scavi.

Di particolare interesse fu la sua ricerca di tracce degli albori del Cristianesimo, ipotizzando la presenza di prime comunità cristiane nella città distrutta dall’eruzione del Vesuvio. I risultati delle scoperte venivano via via pubblicati su varie riviste specializzate: nel 1941 redasse un fascicolo del Corpus Inscriptionum Latinarum, in cui raccoglieva e catalogava circa tremila iscrizioni, ottenendo come riconoscimento il “Premio Gronchi” per l’archeologia. Il lavoro di Della Corte acquistò notorietà a livello internazionale e l’archeologo divenne membro di prestigiose istituzioni culturali sia italiane, come l’Accademia dei Lincei e l’Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti di Napoli, sia europee e americane, come il Deutsches Archaeologisches Institut e l’Archaeological Institute of America. Non mancarono tuttavia le divergenze con altri studiosi dell’antichità pompeiana, che mettevano in dubbio la sua competenza teorica, considerando inadeguato il suo percorso di studi e la sua metodologia di indagine sul campo. Nel 1942, dopo il pensionamento per anzianità, Della Corte ottenne la riassunzione, sia pur con qualifica inferiore, e proseguì nella collaborazione con il soprintendente Amedeo Maiuri.

In quell’anno fu nominato Grand’ufficiale della Corona d’Italia. Superati gli ottant’anni, lasciata l’attività di scavo, si dedicò ancora allo studio, rivedendo e ampliando anche quanto aveva già pubblicato. Morì a Pompei il 5 febbraio 1962 ed è sepolto nel cimitero della città, in un grande monumento sepolcrale. Matteo Della Corte, con le sue opere di alto valore scientifico e con il continuo interrogare e leggere le pietre, divenne, come disse qualcuno, il «più pompeiano dei pompeanisti». Tre furono i suoi grandi amori: la moglie Anna, Pompei e la sua città. Grandi amori che furono il filo conduttore di una lunga e vibrante vita. Semplici e profonde le sue passioni: la vallata metelliana, le divagazioni intorno alla caccia ai colombi, la festa di Castello, lo sparo dei fuochi d’artificio, la Basilica della Madonna dell’Olmo, i suoi nipoti e pronipoti, gli amici di sempre della sua vita laboriosa. Le opere “Amori ed Amanti di Pompei antica”, “Case ed abitanti di Pompei”, “I cristiani a Pompei” e tante altre testimoniano e illustrano la fatica e l’amore di un grande archeologo ed epigrafista, dell’uomo e dello studioso che ha fatto tornare alla luce tutta la vita dell’antica Pompei, rimasta muta per tanti secoli.

Nel libro “I giorni e le opere di Matteo Della Corte” (pubblicato a Cava de’ Tirreni nel 1975) l’autore, il prof. Michele Grieco, scrisse: «Intorno alla figura di acuto ricercatore, segregato in una sua accigliata e pur simpatica epicurea solitudine di archeologo anacoreta, dimidiato tra le assidue ricognizioni nella città morta, fatta viva per lui, e le cure del suo orticello, è germogliata una vera e propria leggenda».