L'analisi

De Magistris-Saviano: è rissa tra predestinati

Non è in atto nessuno scontro tra le due Napoli. La secolare dialettica tra “città alta” e “città bassa”

Non è in atto nessuno scontro tra le due Napoli. La secolare dialettica tra “città alta” e “città bassa”, entrambe con profili storico-antropologici definiti e netti, è estranea alla lite tra Luigi de Magistris e Roberto Saviano. E già questo dovrebbe togliere interesse ad una polemichetta d’infimo rango, che se un merito ha avuto è stato quello di aver fatto deflagrare il groviglio di contraddizioni addensatosi negli ultimi anni sotto la superficie di una certa narrazione delle cose napoletane. Quella che sia Saviano che de Magistris hanno incessantemente alimentato, e che è arrivata a incidere sull’immaginario collettivo non solo nazionale, ma mondiale, in misura inversamente proporzionale alla sua effettiva rispondenza alla realtà. Essa ha esercitato una tale egemonia nel discorso pubblico da creare un clima da fine della Storia: anche (e soprattutto) per questo adesso si sono creati due partiti, uno che sta con lo scrittore e l’altro che tifa per il sindaco. Sia Saviano che de Magistris muovono dalle incrollabili, demiurgiche, certezze dei predestinati (tali almeno si sentono entrambi). E, detto con la massima franchezza, hanno bisogno di Napoli molto di più di quanto Napoli abbia bisogno di loro. Togliere a Saviano l’autoreferenziale epos di cui si nutrono le bande di gangster che infestano i quartieri cittadini, o inibire a de Magistris lo sguaiato masaniellismo e una certa retorica spagnoleggiante che irrorano la vita pubblica napoletana da quattro secoli almeno (per la dolosa insipienza di una delle borghesie più inerti del mondo occidentale) significherebbe prosciugare l’acqua in cui entrambi nuotano. Saviano diventerebbe un modesto scrittore del genere pulp e un appena passabile sceneggiatore di b-movie, de Magistris uno stravagante, verboso, savonarola con pulsioni pseudo egualitarie e tardo internazionaliste. Il sostrato ideologico e emotivo dal quale partono lo scrittore e il sindaco è comune; sembra diverso, ma non lo è, ad onta delle rispettive consapevolezze, il punto di approdo cui essi individualmente (e naturalmente) tendono. Entrambi hanno imprenditorializzato un’idea, una percezione di Napoli. E sono stati finora reciprocamente funzionali l’uno all’altro. Coerente con queste premesse, la frattura che si è prodotta in questi giorni non segue una linea di rottura logica, ma emozionale. E’ l’abbaglio di un vicendevole riflesso condizionato. Né con Saviano, né con de Magistris può funzionare il razionalissimo argomento – azzardato qualche mese fa dal presidente della Commissione antimafia Rosy Bindi, che per questo subì un autentico quanto ingiustificato linciaggio – che inquadra la camorra come uno degli “elementi costitutivi” della identità napoletana (e campana: ma forse sarebbe più corretto dire meridionale). Affermare ciò significa sfrondare il fenomeno di quella ipocrita patina di straordinarietà che molto ha giocato a favore delle fortune editoriali di Saviano, ma parecchio ha influito anche su quelle politiche di un ex magistrato che di processi, quando ha svolto il ruolo del pubblico ministero, ne ha vinti veramente pochi. E se sono gravate dal sospetto di colpevole strumentalità le accuse, “di merito”, che de Magistris muove allo scrittore, appare rancorosa e umorale, oltre che scontata perché figlia del sempiterno, apocalittico, registro retorico afferente al genere gomorrista, la replica di Saviano. In questa rissa scomposta, che il linguaggio sincopato del web, fatto di parole gravemente sofferenti, ha ulteriormente spezzettato, con l’effetto di dilatarla oltre ogni ragionevole misura, è mancato completamente un elemento fondamentale. Quello che il grande Tullio De Mauro, scomparso proprio nelle stesse ore in cui essa divampava, identificava nel “ricevente”. Napoli. Nuovamente presa in mezzo da una disputa a cui può opporre solo la sua tumultuosa, millenaria magmaticità di città mondo. Troppo vasta e complessa per essere ricompresa in una miserabile dicotomia da social network.

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