SALERNO/arco catalano

Così lontano così vicino Il cielo di New York tra foto e architettura

di BARBARA CANGIANO «La pittura agisce su due dimensioni, anche se può suggerirne tre o quattro. La scultura agisce su tre dimensioni, ma l’uomo ne resta all’esterno, separato, guarda da fuori le tre...

di BARBARA CANGIANO

«La pittura agisce su due dimensioni, anche se può suggerirne tre o quattro. La scultura agisce su tre dimensioni, ma l’uomo ne resta all’esterno, separato, guarda da fuori le tre dimensioni. L’architettura invece è come una grande scultura scavata nel cui interno l’uomo penetra e cammina». Questa “volumetria” strategica dell’attraversare per toccare con mano (e vedere e annusare e ricordare e progettare), sintetizzata da Bruno Zevi in “Saper vedere l’architettura”, sembra aver ispirato la seconda edizione di Personali Urbani, rassegna che mixa mostre fotografiche e dibattiti sull’architettura per (ri)leggere la città attraverso gli occhi di chi vive di filtri, tecnografi, visioni. Promossa dallo studio di architettura Project 2.0 (Silvia Frassetto, Davide Guariglia, Lycourgos Lambrinopoulos, Francesco Montella), da Nicola Feo (studio Nju: comunicazione) ed Ugo Villani, la rassegna aperta dai fotografi napoletani Luciano Ferrara e Pasquale Autiero con un focus su Berlino, guarda oggi alle metropoli e al loro lento sedimentare tra ambiente e persone, con i fari puntati su New York. L’appuntamento è per questa sera (19.30, Arco catalano di via Mercanti) con il Closed Skyline di Ugo Villani, architetto e fotografo stregato dalla lezione di Ghirri e Basilico, dove la geometria, la sinuosità della forma, diventa lente di ingrandimento per rileggere il fruitore dello spazio architettonico e le sue percezioni.

Perchè le città sono negli occhi di chi le osserva, nei piedi di chi le attraversa, nelle mani di chi le realizza, tassello dopo tassello. In quest’ottica l’architettura, diventa «un’arte di frontiera. Solo se si accetta la sfida di farsi contaminare, ha ragione di essere. Altrimenti è roba da salotto», sosteneva Renzo Piano nel celebre “La responsabilità dell’architetto”. E quale contaminazione ha più appeal di quella offerta dalla Grande Mela? «La serie ci proietta in un mondo astratto bidimensionale, un labirinto di linee e forme che si rispecchiano vicendevolmente creando una distorsione della realtà che, eliminando i classici punti di ancoraggio, lascia disorientati. È proprio quello che ho provato dinanzi al paesaggio urbano di New York: questa serie rappresenta la sintesi della mia percezione di una realtà metropolitana totalmente diversa da quella a cui sono abituato - spiega Villani - Le foto vogliono esplorare come le forme possano intersecarsi e sovrapporsi tra loro creando una bidimensionalità aspaziale. Il cielo non è poi così lontano, si riflette nelle finestre degli skyscrapers newyorkesi e la luce, che rimbalza di vetro in vetro in un gioco di specchi, viene esaltata da un bianco e nero rigoroso». La serie vuole restituire al fruitore l’immaginario dell’architetto-fotografo, ovvero un gioco di masse, luci ed ombre che tendono alla fusione. In questo modo, «le cortine dei vari edifici si amalgamano creando una nuova percezione del reale». L’incontro sarà preceduto da un intervento di Mario Cavallaro. A seguire performance del chitarrista e voce nonché autore dei Malatja, Paolo Sessa.

. ©RIPRODUZIONE RISERVATA