L'INTERVISTA

Ciro Esposito: «Sono diventato attore grazie a Paolo Villaggio»

Era Raffaele Aiello in "Io speriamo che me la cavo"

SALERNO - «Sono Raffaele Aiello e mettiteme presente!», diceva con enfasi e autorità il piccolo attore Ciro Esposito, protagonista del film cult degli anni Novanta “Io speriamo che me la cavo” di Lina Wertmuller, accanto all'amatissimo Paolo Villaggio. Quella storia toccante, che raccontava il rapporto speciale tra un maestro e i suoi studenti di una scuola di Arzano, commosse tutti, e segnò l'esordio alla recitazione di un bravissimo e giovanissimo attore, che dopo 28 anni e molta gavetta, calca ancora le scene, con successo. Dopo quella indimenticabile parte Ciro Esposito è stato Gianfranco Paglia ne “Le ali”, Angelo Di Girolamo ne “Il grande Torino” e il luogotenente del boss, ’O maestrale in “Gomorra 4”. Stasera e domani con la commedia “Sotto lo stesso tetto”, scritta da Luca Giacomazzi e diretta da Gianni Parisi, accanto a Ivan Boragine e Salvatore Catanese sarà in scena al Teatro Ridotto di Salerno nell’ambito della stagione artistica di “Che comico”.

Ciro Esposito, sta portando a teatro una commedia per tutta la famiglia, foriera di buoni sentimenti! Ce la vuole raccontare?
Sotto lo stesso tetto, è la storia di tre fratelli, con personalità completamente differenti, figli di tre madri diverse, che vivono un’esistenza ognuno a modo proprio. Dopo la morte del padre, si ritrovano a fare i conti con il passato e con i ricordi, che riemergono tra le foto e gli oggetti accantonati in una mansarda, lasciata in eredità dal loro padre. Tutto ciò, ci porta a riflettere sull’importanza della famiglia e sulla necessità di recuperare gli affetti perduti per sentirsi davvero appagati.

I suoi esordi, nello spettacolo, sono legati proprio al teatro?
Sì, ho cominciato a recitare a 7 anni, perché mio padre aveva una compagnia amatoriale e nei contesti teatrali, mi sono sempre sentito a mio agio. Poi a 8 anni, ho partecipato a un film, che mi ha cambiato la vita, nonostante fossi tanto giovane.

Si riferisce alla parte che ha avuto in “Io speriamo che me la cavo”. Che ricordi ha di quell’esperienza accanto a Paolo Villaggio?
Per un bambino come me, quel film, ha rappresentato tanto, sia a livello lavorativo che formativo. Inizialmente, siccome ero tanto piccolo, identificavo Villaggio con il personaggio di Fantozzi, poi però, ho capito che la comicità che vedevo sullo schermo, non gli apparteneva anche sul lavoro. Mentre giravamo il film era austero, severo, rigido e pretendeva tanto anche da noi bambini. A differenza degli altri, ho avuto la fortuna di stare molto tempo da solo con lui, e abbiamo trascorso diverse giornate insieme dove si dimostrava una persona attenta e premurosa. Non amava la confusione e ricordo che spesso si isolava da tutti, quando non capiva il mio dialetto, ci comprendevamo ugualmente, attraverso la gestualità.

Crede che essere napoletani aiuti e faciliti nella recitazione?
Credo che essere nato in una città d'arte, possa dare una marcia in più, in questo senso. Quello che conta però è che fa la differenza, è il grado di sensibilità e i valori che si posseggono, e soprattutto, per recitare bene, occorre conoscere i fondatori del teatro napoletano e considerarli dei punti di riferimento. Faccio dei laboratori teatrali ai ragazzi di ponticelli ed è questo che dico continuamente, durante le mie lezioni.

Hai portato sullo schermo, anche i valori e la realtà deviata di Napoli, recitando un personaggio malavitoso, nella quarta serie di “Gomorra”. Come si è trovato a vestire quei panni alquanto scomodi?
In “Gomorra” la protagonista è la morte, e non è facile averci a che fare continuamente, durante le riprese. Il cast però, è composto da attori, che nonostante la notorietà, sono ragazzi umili e disponibili, predisposti all’amicizia.

C’è qualche ruolo particolare che ti renderebbe davvero felice se te lo proponessero?
Devo dire che mi è andata molto bene finora. Ho svolto ruoli differenti e il mio lavoro è affascinante proprio perché puoi diventare chiunque. Ciò che mi interessa davvero, è calarmi nei personaggi completamente differenti dalla mia personalità. Lo so, è un lavoro più duro e impegnativo.

Maria Romana Del Mese