Cesare Giulio Viola e la “coltivazione” degli uomini liberi

Definì Positano un paese speciale per gli intellettuali La sua grandezza legata a Sciuscià di Vittorio De Sica

di VITO PINTO

“È difficile a capire, Positano! E forse noi non ancora sappiamo dire le sue parole. Ma una cosa è certa: l'amore che ti prende per la casa di Positano, non ti si accende per nessun'altra casa al mondo. La gioia di vederti da un rudere nascere la tua bicocca rustica e civilissima, di aprire qui una terrazza, lì un arco, lì una finestra, ha il sapore che esalta lo scenografo quando realizza le architetture per un'opera di poesia”. Così scriveva Cesare Giulio Viola di questo estremo lembo del Golfo salernitano nel quale aveva la sua Villa, il "Fico", affacciata su quel mare a volte capriccioso, a volte in calma piatta, ma sempre così invitante "col suo azzurro mediterraneo". E aggiungeva: "E' chiaro che Positano è il paese degli uomini liberi; cioè degli artisti. Pittori, poeti, musicisti che hanno, oltretutto, la fortuna, volendo, di non incontrarsi mai, il che conduce la libertà all'ennesima potenza: a una specie di coltivazione del proprio io per proprio uso e consumo". Cesare Giulio Viola fu un "autore emblematico di un tempo turbato", come lo definì Luigi Scorrano, fra le due grandi guerre, "divenendo emblematico non solo come interprete del teatro borghese, ma come voce drammatica che grida il proprio disorientamento in un'epoca in cui certe virtù e talune certezze si sono dileguate".

Figlio di Luigi, lo studioso galatinese che fu l'ideatore del Museo Archeologico di Taranto, Cesare Giulio Viola nacque nella città bimare il 26 novembre 1886. Dopo la guerra, cui partecipò quale pilota della neonata aviazione militare, a Napoli conobbe la giovane Vittoria della famiglia dei Principi Pignatelli della Leonessa; Vittoria era donna intelligente, ironica e non conformista: Viola se ne innamora, sposandola di lì a poco tra le resistenze del nobile parentado. Il matrimonio tra i due ebbe una riuscita straordinaria con una intesa mirabile per tutta la vita. Anche quando Cesare Giulio le comunicò di attendere un figlio da una relazione extraconiugale con la grande attrice Elsa Merlini, donna Vittoria gli disse di riconoscerlo, perché lei non poteva dargli un erede, ma di tenerlo lontano da loro. E così il piccolo Luigi fu riconosciuto, ma allevato come figlio dalla sorella Livia e dal marito Vincenzo Coppola, trasferitisi, poi, in Brasile per motivi di lavoro, dove Luigi è rimasto, tenendo con il padre soltanto contatti epistolari.

Pur essendo un brillante scrittore e giornalista, era redattore capo della "Nuova Antologia", una delle maggiori riviste di cultura di quegli anni, Viola fu uno degli autori più fecondi e applauditi del teatro italiano, tanto che le sue commedie venivano rappresentate dalle più importanti compagnie dell'epoca, dalla Maltagliati a Ruggero Ruggeri, da Ninchi alla Borboni e alla Emma Grammatica. Trasferitosi a Roma frequentava i salotti nobili e i foyer nonché i caffè letterari intavolando amicizie solide e vere: negli ambienti giornalistici e teatrali, gli amici lo chiamavano "Cecé". Il cugino Sandro Viola annotava: "Non fu niente male la vita di Cecé. Era la leggerezza della sua maniera di vivere che affascinava. Il buon umore, i piaceri che ricavava dalla lettura come dalla mondanità… mai una fase di noia. Anzi più avanzavano gli anni e più aumentava la sua voglia di vivere". In pratica possedeva un ammirevole equilibrio mentale, aveva una profonda "joie de vivre". Amava ripetere una frase che Jean Cocteau scrisse sul fronte della Marna: "Gli angeli volano perché non si prendono sul serio…". Tra l'altro scrivere non sembrava costargli gran fatica. Il cugino Sandro ricordava: "Nella sua seconda casa di Positano, il "Pappafico" dove aveva un magnifico studio spalancato sulla baia di Furnillo, gli ho visto scrivere ognuna delle sue penultime e ultime commedie in tempi brevissimi, da record: otto, dieci giorni. Scriveva di getto, correggeva pochissimo: ma venivano fuori testi teatrali perfettamente congegnati e soprattutto dialoghi impeccabili". Le cronache ricordano che durante la stesura del "Venerdi Santo" andò a trovarlo, nella casa di Positano, Emma Grammatica, che avrebbe interpretato quel lavoro. Parlando, ne nacque una discussione alquanto vivace sulla fine che doveva fare la protagonista: c'era chi voleva che morisse e chi invece vivesse. "Una discussione così accesa - ricorda oggi Maria Luisa Viola - che attirò l'attenzione dei vicini, ignari del motivo del contendere, per cui si sentirono in dovere di chiamare i carabinieri, pensando ad un fatto di violenza in atto. Ovvio che i militi appurarono subito il tutto. Era il 1922 quando Cesare Giulio Viola pubblicò "Pricò", il romanzo che narrava l'infanzia (la sua) di un bambino e che nel 1943, ripreso da Vittorio De Sica, divenne "I bambini ci guardano", capolavoro della cinematografia internazionale. Ma soprattutto Viola legò il suo nome ad una delle più alte testimonianze del cinema neorealista: "Sciuscià", alla cui sceneggiatura collaborò con De Sica e Zavattini, ricevendo l'Oscar. Una particolare importanza nella produzione letteraria di Viola, ha l'opera "Pater" un lavoro durato trent'anni e licenziato alle stampe soltanto pochi mesi prima della sua morte: era un omaggio meditato a suo padre, di cui racconta la storia-mito ricca di suggestioni. "Per me era un'opera destinata a essere ritrovata fra i manoscritti superstiti", dichiarò quando, nella sua casa di Positano, si fece convincere alla pubblicazione dal libraio milanese Cesarino Branduani. Poi aggiunse: "era in me da anni".

Cesare Giulio Viola si spense il 3 ottobre 1958 in quella sua casa di Positano che aveva la terrazza aperta sul mare di Furnillo. Ritorna alla mente quel suo omaggio a Positano: "I villeggianti se ne sono andati in città. Restano i pescatori, i poeti e i pittori. La libertà e la solitudine si fanno assolute. Sono le ore quando, a Positano, dovrebbero nascere i grandi quadri, le grandi architetture e i grandi poemi".

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