IL CERTALDESE

Boccaccio, novelle salernitane

Quattro delle cento storie del Decameron sono ambientate tra il Capoluogo e la costa

di ALESSIO DE DOMINICIS

«Dovete adunque sapere, bellissime giovani, che ancora non è gran tempo che in Salerno fu un grandissimo medico in cirugia, il cui nome fu maestro Mazzeo della Montagna, il quale, già all’ultima vecchiezza vicino, avendo presa per moglie una bella e gentil giovane della sua città, di nobili vestimenti e ricchi e d’altre gioie e tutto ciò che ad una donna può piacere meglio che altra della città teneva fornita; vero è che ella il più del tempo stava infreddata, sì come colei che nel letto era mal dal maestro tenuta coperta». Siamo a metà del 1300 e l’autore di questo incipit, Giovanni Boccaccio, nella novella X della IV giornata del suo “Decameron”, fa parlare il giovane narrante, Dioneo, mentre la brigata in ascolto - o forse il lettore- già pregusta gli sviluppi piccanti della novella: con una moglie molto giovane e un marito vecchio son corna sicure. Ma prima di proseguire con questa storia, vogliamo rimarcare come il centonovelle del Certaldese, abbia di molte ambientazioni campane, e citazioni di luoghi e personaggi salernitani e della costa (almeno quattro e non tre come spesso si legge): Landolfo Rufolo e Ravello (novella IV della II giornata); Tancredi “prenze di Salerno” e la sventurata storia di sua figlia Ghiselda col Guiscardo (novella I della IV giornata); la novella X della giornata VIII in cui si parla della fiera di Salerno, dove va a vendere pannilani il giovane e incauto mercante fiorentino Nicolò da Cignano (che potrebbe anche essere il Boccaccio stesso), e infine la novella del medico salernitano Mazzeo.

Peraltro l’importanza dei luoghi campani nel Decameron fu intuita artisticamente da Pasolini, che del territorio, della lingua e dei tipi umani presi tra Napoli, il Casertano e Ravello, fece la cifra del suo film. L’attività mercantile fuori Firenze della famiglia Boccaccio (padre e zii di Giovanni, e lui stesso) si svolgeva come per ogni mercante fiorentino - principalmente nel Regno di Napoli, che, dopo la Toscana, è la parte d’Italia più viva e presente nel “Decameron”. Nel 1327 Boccaccio è inviato dal padre a Napoli, come “abbachista” (oggi diremmo come apprendista contabile) presso il banco dei Bardi, vicino al fondaco dei Frescobaldi, nella zona di traffici che riappare, vivissima nella sua memoria, come scenario della brutta nottata di Andreuccio da Perugia. L’importanza e il valore di quell’esperienza della civiltà mercantile-borghese negli anni dell’adolescenza, sono magnificamente evocati da Vittore Branca nel volume “Boccaccio medioevale” (Firenze, Sansoni, 1956, pp. 71 e sgg.): «Boccaccio visse e scontò ora per ora la fatica e il rischio di quella esistenza di finezze, di audacie, di agguati. Da questa pratica mercantile singolarmente ravvicinata, dai contatti sempre nuovi con gente dei più diversi paesi che conveniva nel fondaco non solo per trattare affari, ma per attendere i corrieri e le notizie delle varie “piazze”, e confrontarle e commentarle, le luci scintillanti e gli echi dei racconti dei famigliari e degli amici erano nutriti e sostanziati di faticata e diretta esperienza», così che il giovane Boccaccio a Napoli, prima di darsi allo studio delle lettere, dovette certamente conoscere la settembrina Fiera della vicina Salerno, ricordata poi nella novella citata della giornata ottava. Quanto già accertato dagli studi ci è parso necessario ribadirlo, ritenendo che, pur nella grande varietà tematica e stilistica di quel macrotesto che è il “Decameron”, Giovanni Boccaccio attribuiva grande valore per la sua formazione intellettuale al primo soggiorno napoletano, all’esperienza diretta dell’attività mercantile nelle piazze e nelle fiere, alla conoscenza delle donne – vere protagoniste del “Decameron” dall’inizio alla fine - e alle vicende d’amore, tragiche e infelici ovvero comiche e a lieto fine, che sono i casi appunto della quarta e quinta giornata. Tornando alla novella di Maestro Mazzeo della Montagna- ispirata forse a fatti accaduti - il bravo chirurgo salernitano commette dunque l’imprudenza, lui anziano, di prendere in moglie una donna bella e tanto più giovane, che mantiene nel lusso sì, ma senza poterle lisciare il pelo, non avendo neppure la Scuola Salernitana alcun ritrovato per quell’insufficienza, e di Viagra ancor non si sapeva. La donna allora, per mezzo della sua fantesca si sceglie un giovane prestante, Ruggieri d’Aieroli (Agerola), ottimo amante ma pessimo soggetto che «per tutto Salerno di ladronecci o d’altre vilissime cattività era infamato». Accade che, dovendo eseguire un’amputazione, maestro Mazzeo prepara una potente pozione per sedare il suo paziente, e in attesa dell’intervento la ripone nella sua stanza. Ma arriva un messo dicendogli che dei suoi cari amici in Amalfi hanno urgente bisogno di lui. Il medico avverte la moglie che sarebbe tornato non prima dell’indomani e s’imbarca per Amalfi.

La donna invita l’amante e lo nasconde nella sua stanza finché tutti non si siano coricati. Intanto Ruggieri che aveva molta sete, credendo che l’oppio fosse acqua, lo beve e piomba in un sonno profondo; la donna, che lo trova addormentato, prova in tutti i modi a svegliarlo e alla fine gli urla spazientita: «Leva su, dormiglione, ché, se tu volevi dormire, tu te ne dovevi andare a casa tua e non venir qui». Ma poiché nemmeno il fuoco della candela sortisce effetto, ella lo crede morto e, per evitare lo scandalo, con l’aiuto della fantesca lo mette fuori sulla strada, in una cassa che poi è rubata da due usurai che se la portano a casa. Ruggieri a notte fonda si sveglia, fa rumore per uscire dalla cassa, sveglia le donne di casa ed essendo un noto ladro è preso, condotto davanti al giudice che lo condanna alla forca. La mattina dopo tutta Salerno sa che Ruggieri deve essere impiccato. L’amante disperata per salvare il suo bene chiede aiuto alla fantesca: questa allora va dal giudice e racconta tutto ma con una variante, dice cioè che il giovane era suo amante e di avergli dato da bere la pozione credendo che fosse acqua.

Racconta di averlo messo nella cassa credendolo morto, e quando il giudice indaga e scopre il furto dei due usurai, capisce la presenza di Ruggieri nella loro casa. Ruggieri è liberato e i due usurai sanzionati per il furto della cassa. Esito felice per la signora moglie di Mazzeo, la quale, conclude Dioneo: «Con lui insieme e colla cara fante… più volte rise ed ebbe festa, il loro amore e il loro sollazzo sempre continuando di bene in meglio; il che vorrei che così a me avvenisse, ma non d’esser messo nell’arca». È un’estrema sintesi della novella che invece è piena di dettagli, gustosi per chi amasse rileggerla, anche dell’ambiente urbano, con la strada, le botteghe, le merci, i balconi e le finestre, come un film-documentario girato nella Salerno del XIV secolo. Abbiamo tratto i brani dall’edizione del “Decameron” di Vittore Branca (Firenze, Le Monnier, 1951- 1952).