Berlinguer e Togliatti Un errore storico trovare le analogie

Due momenti incomparabili nella politica del nostro paese Diversi gli effetti e naturalmente anche i protagonisti

di GIUSEPPE CACCIATORE

Parlare di analogie tra le cosiddette "due svolte" di Salerno - questa è la mia sommessa opinione - è un errore storico da matita blu. Si tratta di due momenti incomparabili della nostra storia politica e nazionale: diverse le premesse, diversi i contesti, diversi gli effetti e, naturalmente, diversi i protagonisti, Togliatti e Berlinguer. Se ne può parlare, ovviamente, solo in modo evocativo, per dire di due avvenimenti che ebbero la loro genesi nel medesimo luogo geografico e che comportarono un cambiamento di strategia politica nel più grande partito comunista dell'Occidente, ma in quanto alla loro portata storica, eviterei ogni forzata analogia, che avrebbe un sapore ideologico e mitografico.

E veniamo ai contesti: la "svolta" di Togliatti degli inizi di aprile del 1944 cadeva in un momento drammatico della storia italiana. Il paese era diviso in due (l'Italia del Sud liberata e quella del Nord governata dalla Repubblica fantoccio di Mussolini, ma in realtà da Hitler), le regioni liberate uscivano da lutti e distruzioni, la miseria era una piaga, mancavano scuole e ospedali, i governi delle città erano ancora sotto amministrazione alleata. E' in questo drammatico scenario che si inserisce la proposta di Togliatti: rinviare la soluzione della questione istituzionale alle decisioni di un'assemblea costituente che si sarebbe riunita immediatamente dopo la fine della guerra. Fino ad allora le redini dell'Italia liberata dovevano essere affidate a un governo provvisorio in cui dovevano essere rappresentati tutti i partiti antifascisti. Era questa la via maestra per far sì che anche l'Italia antifascista concorresse alla guerra contro i tedeschi e i fascisti, ma era questa la via per lavorare per la ricostruzione del paese e per rilanciare lo sviluppo produttivo dell'industria e dell'agricoltura. Si trattò dunque, non esito a usare questo termine, di una scelta "patriottica" pensata e realizzata per il bene comune della nazione e non per un interesse, sia pur legittimo, di parte. Questo non significa che la svolta del 1944 non avesse avuto conseguenze nella linea politica dei comunisti italiani. Quella intrapresa da Togliatti fu l'inizio della "lunga marcia" dell'evoluzione verso la strategia della "via italiana al socialismo", del graduale abbandono del leninismo rivoluzionario per il gramscismo del consenso democratico, dell'idea di "democrazia progressiva" che sarebbe diventato il leit-motiv della politica comunista dei decenni successivi. La cosiddetta "seconda svolta" aveva invece una origine tutta politica. Il PCI usciva da una seria sconfitta nelle elezioni del giugno del 1979 e la leadership di Berlinguer fu messa in discussione da un acceso comitato centrale che segnò un rafforzamento della corrente di sinistra nella segreteria a scapito della destra di Napolitano.

Nei mesi successivi si accentuò lo scontro con il PSI ormai sempre più nelle mani di Craxi e il diapason della polemica fu toccato nell'ottobre del 1980 quando nell'intervento sulla fiducia al governo Forlani, Berlinguer accusò Craxi di voler lottar. e contro l'egemonia della DC restando sul solo terreno della conquista del potere e del sottogoverno. Qualche settimana dopo, il terremoto in Irpinia metteva allo scoperto (indimenticabile l'accusa accorata lanciata da Pertini in televisione sull'inefficienza scandalosa dei soccorsi) - come avrebbe denunciato Berlinguer - l'inefficienza, la corruzione e l'immoralità del sistema di potere guidato dalla DC e dal PSI. Dopo la riunione dei quadri di partito, svoltasi a Vietri il 28 novembre del 1980, Berlinguer annunciava alla stampa: "nel momento in cui la DC dimostra di non essere in grado di guidare il risanamento morale e il rinnovamento dello Stato, è al PCI che spetta oggettivamente di essere la forza promotrice e di maggior garanzia di un governo che esprima e raccolga le idee migliori della democrazia italiana".

Questo oggettivo cambio di linea rispetto al compromesso storico e alla solidarietà nazionale fu subito definito come "seconda svolta di Salerno". Nello spazio limitato di un articolo giornalistico non vi è certo la possibilità di svolgere un discorso meditato e completo sulle scelte di Togliatti e di Berlinguer. Quel che è fuor di dubbio è la capacità dei due grandi leader del comunismo italiano di elaborare scelte, non esenti da errori e contraddizioni, e proporre svolte anche profonde non legate solo a una ideologia di cambiamento radicale della società, ma alla condizionatezza storica e culturale in cui agivano. Perciò sarebbe un grave errore giudicare la prima o la seconda svolta sottraendole al loro terreno originario (la ricostruzione dell'Italia dalle macerie della guerra e i governi di unità nazionale nel caso di Togliatti; lo sfacelo del sistema di potere e l'emergenza della questione morale nel caso di Berlinguer) e affidandole a generiche e inesistenti analogie ideologiche. Nell'un caso e nell'altro ciò che emerge con forza e resta ancora oggi a segnare, se non lo spazio del presente almeno quello della memoria storica, è lo straordinario disegno di creare nel cuore dell'occidente un partito comunista diverso, italiano e sinceramente democratico. Che almeno le scintille di quella luce restino a tracciare il buio cielo dei nostri tempi.