L'INTERVISTA

Antonio Menna: «Racconto la gioia negata ai piccoli»

Esce il libro “La bambina senza sorriso”. Lo scrittore: «Il rapporto padri-figli nella mia Napoli teatro»

A cinque anni dall’uscita del romanzo “Il mistero dell’orso marsicano, ucciso come un boss ai quartieri spagnoli”, Antonio Menna torna in libreria con il giallo “La bambina senza il sorriso” (Marsilio editori). Una storia appassionante, coinvolgente, ricca di mistero, ambientata tra i vicoli di Napoli scoppiettanti di vitalità e spesso impenetrabili ed enigmatici, che vede al centro della narrazione una bambina affetta da una rara malattia congenita che non le permette di ridere.

Perché ha deciso di scrivere questo giallo?
La protagonista del mio romanzo, è una bambina che sorride, ma nessuno se ne accorge. Ha una malattia rara che non le fa spuntare sul volto l’espressione del sorriso. Del suo sorriso s’accorge solo il padre, che ha con la figlia, un rapporto profondo. Questo padre, però, sparisce nel nulla, all’improvviso. La bambina lo cerca, e chiede aiuto ad un giornalista, Tony Perduto, che è il mio investigatore atipico. La trama è fitta, complessa, ma sfocia in un finale sorprendente. Sono affascinato dall’intreccio investigativo, che accende la curiosità del lettore e gli da la possibilità di porsi delle domande: le mie, nel romanzo, sono soprattutto sul rapporto padre-figlio, vero tema della storia.

Nel libro i suoi personaggi sembrano essere inseriti in un contesto quasi teatrale...
Il romanzo nasce nel centro storico di Napoli, nei quartieri spagnoli, che hanno una loro teatralità, non fosse altro che per avere una vivace vita esterna alle abitazioni, con molta gente che si relaziona. Osservare e raccontare, partendo da lì, consente una coralità naturale, che è molto interessante per leggere la città di Napoli.

Il suo mestiere è legato alla divulgazione, alla narrazione. Ma come vede il mondo uno scrittore?
Muta molto di persona in persona. Credo che lo scrittore abbia un’importante capacità emotiva di vivere la vita degli altri e di calarsi nel mondo totalmente. Creare storie, personaggi, caratteri, e far muovere il tutto su una trama, significa vivere un po’ la vita di tutti, non è solo questione di fantasia ma di sguardo, di tensione interna verso gli altri.

Vive a Napoli da quando era bambino: che rapporto ha con questa città?
Napoli è la mia città. Anche se sono nato altrove, i miei genitori sono napoletani. Tendo a combattere una certa mitizzazione di Napoli, che credo sia alla fine il suo grande limite. C’è un notevole autocompiacimento, ora della bellezza paesaggistica, ora della storia, ora perfino di alcuni bozzetti caratteriali e della simpatica furbizia che ci viene attribuita. Credo che dovremmo invece compiacerci di meno e agire di più, esercitare più senso critico per superare una serie di limiti oggettivi che non tutti vogliono guardare. Anzi, se tu insisti nel segnalare un problema, diventi tu il problema.

Ha dichiarato di non avere un buon rapporto con il cellulare. E con i social network?
Non sono né vittima né dipendente, spero. Uso i social e adopero le nuove tecnologie della comunicazione. Non amo il cellulare come telefono che ti perseguita. In questo senso, rimpiango il tempo in cui si andava in giro senza poter essere rintracciati.

Quali saranno le ripercussioni a lungo termine che lascerà la pandemia nel nostro tessuto sociale?
Temo molto le conseguenze economiche del lockdown, soprattutto al Sud. Non avevamo ancora gestito le conseguenze, prodotte dal passaggio all’euro, né assorbito la crisi del 2008, ed ora arriva un altro periodo traumatico che si scaglierà su una o due generazioni maledette.

Di quale libro che ha letto vorrebbe essere l’autore?
Difficile indicarne uno, forse “Seminario sulla gioventù”, di Aldo Busi.

Maria Romana Del Mese