letteratura

Antonio Lanzetta racconta il "Buio Dentro"

L'ultima fatica dello scrittore salernitano spazia tra il poliziesco e il thriller psicologico e sarà presentato all'Università e alla Feltrinelli

SALERNO. Da tempo, la letteratura noir ha assunto il ruolo di “palombaro” negli abissi della psiche umana. Sono finiti i tempi in cui il giallo, il thriller, il nero venivano considerati generi a parte. Oggi hanno conquistato critica e pubblico. In Italia il fenomeno ha attecchito già a partire dall’inizio degli anni 2000 e hanno preso piede autori come Andrea Camilleri, Carlo Lucarelli, Maurizio De Giovanni, Gianrico Carofiglio, Gianni Biondillo, Giancarlo De Cataldo. Nel 2015, il barese Nicola Lagioia ha vinto il premio Strega con “La Ferocia”, un romanzo in cui noir e gotico si mischiano nel fluido caldo della saga familiare. Storie dove bene e male non conoscono confini, dove l’occhio del lettore finisce per immedesimarsi anche nell’animo deformato dell’assassino, scavando le ombre più recondite e segrete dell’uomo. Con “Il Buio Dentro” (La Corte Editore, 16,90 euro – pagine 288), il salernitano Antonio Lanzetta si impone nel vasto panorama della narrativa noir. Autore di romanzi dove il fantasy e la fantascienza erano lo sfondo di mondi apocalittici e magici (basti ricordare Ulthemar, Warrior, Revolution), Lanzetta ha messo in cantiere una storia capace di fare da ponte tra il poliziesco, il thriller psicologico, il noir, il gotico, con una strizzata d’occhio ad Ammaniti e all’amato Lansdale.

Il libro verrà presentato in doppia, domani, alle ore 11.30 all’Università degli Studi di Salerno, nella Sala Conferenze Biblioteca Centrale “E.R.Caianiello” (Lanzetta converserà con Alfonso Amendola e Linda Barone), e alle ore 18 alla Feltrinelli di Salerno (in conversazione con Piera Carlomagno e letture di Brunella Caputo). Protagonista del romanzo è il giornalista Damiano Valente, chiamato Lo Sciacallo, scrittore che si è costruito una carriera trasformando i più efferati casi di cronaca in romanzi di successo. La sua turpe quiete – Valente è stato vittima, anni prima, di un tragico incidente che lo ha reso storpio e dipendente dalla morfina – verrà sconvolta quando viene ritrovato il cadavere di una ragazza. Un omicidio che lo riporta indietro nel tempo, in quel lontano 1985, quando Damiano era solo un ragazzino e la sua amica Claudia era stata uccisa con modalità identiche.

«A livello tecnico, il confronto con un tipo di scrittura totalmente diverso da quello che utilizzavo prima, era già avvenuto con il racconto “Nella pioggia”, con cui sono stato finalista al Gran Giallo di Cattolica», spiega Lanzetta, parlando del suo passaggio dal fantasy al noir. «Leggo gialli e thriller da sempre. Il primo libro, in tal senso, è stato “Dieci piccoli indiani” di Agatha Christie. Tuttavia, credo che gruppi editoriali e librai abbiano inventato le categorie, per vendere. Un autore che sappia scrive, è in grado di immaginare storie di ogni genere. Un po’ come Stephen King e Joe R. Lansdale. Lo scrittore deve tenersi ben distante dalle classificazioni».

E ciò che Antonio fa è scrivere, adesso, storie che si immergono nel reale crudo di una vicenda ambientata nella sua città d’origine, Salerno. «Avverto l’esigenza di scrivere storie diverse che. fanno parte del nostro territorio. Siamo abituati a vedere Milano, Bologna, Napoli. Ma la provincia salernitana ha una forza suggestiva incredibile, come a esempio il Cilento che ricorda molto il Maine di King, dove è possibile raccontare una forma di male che vive sotto terra, in mezzo a noi».

Il romanzo è un thriller psicologico, dove ogni personaggio è segnato da un passato che riemerge all’improvviso. L’autore gioca su due piani temporali diversi – l’oggi e il 1985 – utilizzando un linguaggio molto vicino all’ossatura cinematografica. «Prima di essere un lettore appassionato, sono anche un grande cinefilo. Ho sempre concepito la mia scrittura come qualcosa che potesse basarsi sull’immagine in movimento. Gioco con i piani temporali, anche perché questa è una storia sul tempo e sull’azione che il tempo pone su di noi. Cosa può determinare un evento di 31 anni prima, sulla psiche di un gruppo di ragazzi?».

All’interno, si fa largo una linea storica del nostro paese, dagli anni ’80 in poi, comprese le infiltrazioni camorristiche nel cilentano, dopo la ricostruzione del terremoto. «Questo romanzo è concepito come uno stand-alone, ma la mia idea è di fare una serie di libri dove ci siano sempre gli stessi personaggi, come un telefilm. Raccontare, dunque, una storia di provincia nera avendo come soggetto principale la nostra regione Campania e la provincia salernitana». Si sente molto l’impronta gotica, originata dalle letture di Lanzetta di mostri sacri come Lovecraft e Poe. «Reputo che tutti noi abbiamo un debito culturale nei loro confronti – spiega lo scrittore salernitano – Hanno modificato l’idea di come pensare alla paura, ovvero quello che non si vede ma si prova».

Particolare è poi il rapporto che Lanzetta ha saputo concretizzare con i suoi lettori. «La comunicazione è cambiata grazie o per colpa dei social network. La vittoria di uno scrittore è di adattare un linguaggio profondo e sintetico, le giuste parole per tenere incollato il lettore alla pagina. Alcuni lettori sono diventati anche miei amici. Leggono le mie bozze, mi danno dei consigli, parlano dei miei personaggi. D’altro canto, la capacità di uno scrittore è saper tirare fuori emozioni forti e trasmetterle al pubblico».