L'OMAGGIO

Aniello De Vita, il medico che mise in musica del Cilento

La canzone “So’ nato a lo Ciliento e me ne vanto” del compianto artista di Moio della Civitella è stata eletta inno del Parco

E' un pezzo di storia di un territorio che ha vissuto povertà ed emigrazione. Orgoglio e sentimento che ancora prima di diventare ufficialmente l’inno del Cilento, lo era nel cuore di chi lo abita o l’ha dovuto lasciare. Melodia di antica e commovente speranza, di cui tutti conoscono quel ritornello e quelle parole: «So’ nato a lo Ciliento e me ne vanto, so’ nato a lu Ciliento e so’ contento. E fino a quanno campo, si tengo voce canto, so’ nato a lo Ciliento e me ne vanto!». E cantava “co lo core” Aniello De Vita, autore della famosa canzone che è diventata l’inno del Cilento, bandiera di quel territorio a Sud della provincia di Salerno. Nei giorni scorsi, a Pellare, i sindaci dell’area del Parco, sotto la guida del primo cittadino di Moio della Civitella, Enrico Gnarra, hanno deliberato affinché la canzone diventasse l’elemento distintivo di una identità territoriale. Difendeva il dialetto e la sua terra, Aniello, che convinse anche l’amico Enzo D’Orsi, nato a Pellare di scrivere poesie nella sua lingua, quella cilentana. È un prezioso documento di passione e radici quell’epistolario con l’ingegnere cilentano che si era trasferito a Venezia. Ma l’amore per la sua terra e per il canto, spinsero Aniello De Vita a quella continua ricerca sull’animo della sua gente. «Nella sua evoluzione come uomo e professionista ha cercato sempre di studiare per arrivare proprio a questo. - ha raccontato il fratello Giuseppe - Era testardo Aniello. Prima si è laureato in Medicina, poi ha preso la specializzazione di Anestesiologia. Dopo venti anni ha deciso di specializzarsi in Cardiologia. Lo ha fatto per altri vent’anni, dividendosi tra Salerno, Vallo della Lucania e Moio della Civitella». L’esigenza poi di sostenere il suo impegno culturale, lo ha portato a intraprendere anche studi antropologici presso l’Università di Salerno laureandosi nel 1989 con una tesi sulla “Sessualità contadina”. Una carriera lunga e intensa, interrotta a febbraio del 2013 a 72 anni. «Aniello ha composto circa 100 canzoni, fino a quando ha deciso di mettere per iscritto la sua esperienza di cantautore, in un libro “Storie di canzoni” che è la sua autobiografia». Tanti i suoi successi “Ciliento terra mia” , “Margarita”, Scarrafone”, ma è con “So’ nato a lo Ciliento e me ne vanto” che riesce a sfiorare l’orgoglio dei cilentani, nodo in gola che si stringe quando qualcuno la intona. «Se una terra non prende coscienza di quello che è e può rappresentare, diventa preda facilmente di forze esterne. Sono convinto che questo canto aiuterà il Cilento», aggiunge Giuseppe, che con Aniello ha condiviso tutto, complicità, studi e quel tozzo pane da bambini. «Il nostro è stato un sodalizio molto forte. Intorno al focolare, ogni quindici giorni la famiglia si riuniva a Moio. «Mamma Nina è stata una delle maggiori ispiratrici delle sue poesie, forniva ad Aniello vocaboli, espressioni e racconti della gente. È stato sempre innervato e radicato nel popolo, “le iereta sue ngoppa l’argiento paria ca tessieno nenie antiche, leggere come seta”. - racconta Giuseppe che dedica una poesia alle nenie di Aniello - Il modo di comporre era intimista, “sulagno” sposava un tema, ci lavorava in un angolo di casa nostra vicino al fuoco, poi la faceva ascoltare ai familiari ma collaborava con i poeti, con me, con Geppino Liuccio, Enzo D’orsi, Giuseppe Lauriello». Suo nipote, Angelo Loia, “So nato a lo Ciliento e me ne vanto” l’ha quasi vista nascere: «È la prima canzone che lui mi ha insegnato negli anni Ottanta. L’ho vista radicarsi nel territorio in modo incredibile», racconta lui che ha raccolto l’eredità musicale dandogli una veste più moderna: «Questo inno serve ai ragazzi, la cantano tutti e in mano a loro si trasmetterà. Spero che la cantino nella sua versione migliore che è quella originale: lui voleva trasmettere l’orgoglio, non la nostalgia. Veniamo da una cultura contadina e ne siamo orgogliosi».

Marianna Vallone