Alle radici del piccolo Irno

Non è citato nei testi di geografia ma il fiume ha dato inizio alla nostra storia

di GIUSEPPE ESPOSITO

Negli elenchi dei fiumi più importanti, quelli che si apprendevano alle scuole elementari, l’Irno non lo trovate mai. Rispetto ai fratelli maggiori è irrilevante. Dalle scaturigini, sulle pendici del monte Stella alla foce, sul litorale di Salerno, non percorre più di 11 chilometri. Accoglie il tributo di ben venticinque piccoli affluenti e l’abbondanza delle sue acque, perenni, ha rappresentato, per il territorio una fonte insostituibile di benessere. Fin dalle epoche più remote, quelle acque hanno favorito la nascita di attività produttive peculiari. Hanno funzionato da vasca di decantazione dell’argilla estratta dalle cave sui monti circostanti e cotta nelle fornaci, quelle che ancora si possono osservare nel parco archeologico di Fratte. Fu ai tempi degli etruschi, che nacque quell’industria ceramica destinata, negli anni Cinquanta del secolo scorso, ad acquisire fama internazionale con i prodotti della fabbriche D’Agostino e Ernestine. Da queste fabbriche uscirono prodotti assolutamente originali, diversi da quelli talvolta stereotipati di Vietri. L’avventura della Ernestine fu affascinante. Essa prese il via dall’incontro a Positano tra il giovane Matteo D’Agostino, salernitano e l’americana Ernestine Cannon. Fu un miracolo di inventiva e intraprendenza, e quando ad essi si aggiunse Horst Simonis fu un trionfo. Le forme di Matteo, il disegno floreale di Ernestine uniti alle invenzioni cromatiche e tecnologiche di Horst, portarono la produzione a vertici qualitativi inimmaginabili. Quei prodotti, ancora ricercatissimi sul mercato antiquario, suscitano la nostalgia per un tempo irripetibile, quando l'arte sposò l'industria, in un connubio che nessuno ha saputo più replicare. Quelle fabbriche oggi non ci sono più. Come non si sono più nemmeno le vestigia di quell’altro miracolo industriale, avvenuto sulle sponde dell'Irno: l'industria del cotone. Il miracolo che industriali venuti dalla Svizzera, quali Vonwiller e poi Wenner, realizzarono. Giunti fra noi nei primi decenni dell'Ottocento, furono attratti dalle condizioni favorevoli esistenti sulle rive dell'Irno e vennero qui ad impiantare le loro fabbriche. Un miracolo che valse a Salerno l'appellativo di Manchester delle Due Sicilie. I due presupposti favorevoli alla nascita e allo sviluppo delle industrie cotoniere erano costituite dalle acque del fiume e dalla abilità degli abitanti della zona, nell'arte della lana. Attività questa nata, anch'essa, in tempi antichissimi, quando lungo le rive del fiume, in epoca medievale, erano disposte le cosiddette gualche. Vasche in cui le pezze erano impilate e soggette all'azione di un maglio, azionato dall'energia delle acque. La gualcatura, serviva a rendere i tessuti di lana. più compatti e resistenti. Sulle sponde del fiume si sviluppò l'intero ciclo produttivo delle pezze di lana. L'approvvigionamento della materia prima era favorito dal fatto che la valle dell’Irno era il punto di passaggio tra la Puglia e la Capitale del regno. La meravigliosa avventura industriale, ebbe fine, tristemente, negli anni novanta. Durò, pertanto, quasi due secoli. Oggi invece l'Irno, questo piccolo ma insostituibile protagonista della nostra storia economica scorre negletto e quasi dimenticato. Nel tratto che attraversa Salerno è stato addirittura sepolto e nascosto alla vista, fin quasi al suo sbocco al mare. Sembra uno di quegli anziani che si vogliono nascondere alla vista e si vanno a richiudere in quelle che ipocritamente vengono definite case di riposo. Della sua storia, oggi, abbiamo rimosso ogni cosa. L'eredità del passato è stata tradita e sembra non interessi più a nessuno. Invece di trarne stimoli per rinnovare nel presente i successi di un tempo, lasciamo che l'oblio avvolga le nostre memorie. Eppure basterebbe prestare attenzione ad alcune tendenze che vanno emergendo e che dal passato traggono ispirazione per costruire un futuro migliore di quello che attualmente sembra ci sia riservato. Mi riferisco a quello che viene definito “Reshoring” ossia il ritorno a fare industria nei paesi di più antica e solida tradizione manifatturiera. E l’Italia e, per quanto ci concerne la Valle dell’Irno vanta una tradizione che non è seconda a nessun altra. Si possono, ove vi sia la volontà, porre le condizioni di un nuovo sviluppo economico tra memoria e futuro, tra competenze esistenti e il digital manufacturing, vettore di proiezione verso il futuro. Nel nord del paese e segnatamente ad ovest è situata la maggior parte dei casi di rilocalizzazione della produzione, delocalizzata negli anni scorsi. Il reshoring sembra riguardare proprio quei settori in cui l'Italia ha primeggiato fino agli anni che hanno preceduto la crisi che stiamo ancora vivendo. Settori quali l’abbigliamento, le industrie della pelle, quelle del mobile, l'agroindustria e la farmaceutica. Il futuro è possibile e rivivificando le nostre radici è possibile afferrarlo. Facciamo in modo che il nostro, oggi negletto, piccolo fiume possa essere, con la sua storia un incentivo per costruire il nostro futuro.

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