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Alla scoperta della Carnale a Salerno

Il monumento ha resistito più volte alla distruzione ma la storia è dalla sua parte

SALERNO. I salernitani la chiamavano la Polveriera, il Torrione, ma per i dotti era la Carnale, perché così veniva prevalentemente ricordata nei documenti, nell’antica cartografia e nelle stampe (per breve tempo, in età moderna, fu invece indicata come Forte S. Giuseppe); nei decenni passati quello sperone di roccia che chiudeva ad est la cintura collinare della città storica, assiepato da una ventina di cartelloni pubblicitari, era per ognuno la collina del Torrione: il passaggio, la cerniera, tra centro e periferia, e dagli spalti del forte, su quella modesta altura, si poteva cogliere la differenza tra la città compatta, oltre l’Irno, e quella ancora rada verso oriente. La prima monografia degna di nota su questo luogo speciale dell’immagine urbana l’abbiamo sottomano: Ersilio Castelluccio “La Carnale”, pubblicata nel numero di luglio-dicembre 1953 della Rassegna Storica Salernitana (pag. 164-183). Le strutture risalenti al XVI secolo della Carnale facevano parte del vasto programma di difesa ed avvistamento anti-corsaro del versante tirrenico meridionale, avviato da don Pedro de Toledo e attuato da don Perafan de Ribera. Dati documentali attestano gli inizi della fase vicereale tra il 1567-1569 e la funzione difensiva è confermata da tutta la vedutistica e cartografia tardo-cinquecentesca e dei secoli successivi. In corso di tempo il “Torrione” ha rischiato più volte la distruzione: da pirati saraceni assedianti, poi ancora durante la rivolta di Ippolito da Pastina, il Masaniello salernitano, nel 1648, fino ai bombardamenti alleati del 1943, ma, paradossalmente, i pericoli maggiori per la vetusta struttura arrivano nel 1953, quando sulla stampa locale si comincia a parlare di progetti per la Carnale. Il “Roma” del 3 luglio e dell’11 agosto 1953 sottotitolava gli articoli del corrispondente Clarizia con un annuncio che sarà presto una minaccia, come vedremo: “Prevista la valorizzazione della Carnale". Quel 1953 fu un anno decisivo per l’urbanistica salernitana, con l’incarico all’architetto Plinio Marconi, esteso poi ad Alfredo Scalpelli, per il nuovo Piano Regolatore.

Facciamo un passo indietro per apprendere che il Comune fin dal 1944 cercò di ottenere dal Demanio Statale - Ramo Marittimo l’acquisizione degli arenili a est del centro urbano e la collinetta di Torrione, per sottrarla “..allo ingordo sfruttamento della privata iniziativa”. Le vicende successive del sito, fino alla metà degli anni ’70, le conosciamo poi dai resoconti di monsignor Giuseppe Bergamo, direttore dell’Ufficio Tecnico Diocesano, nel volume: “Ricostruzioni delle chiese della Città di Salerno e del suo Comune”, Battipaglia,1973 (pag.28-56). Le trattative per l’acquisto della Carnale tra Comune e Demanio non furono mai risolutive, fino al 1955, quando, sulla transazione poco effettiva interviene la Curia, con un’iniziativa concordata tra il sindaco Menna e l’arcivescovo Moscato. Quest’ultimo si propone, previa rinuncia alla prelazione da parte del Comune, come acquirente del forte e della collina di Torrione, e siccome le trattative col Demanio andavano per le lunghe l’arcivescovo Moscato si rivolge al sindaco Menna perché voglia far redigere all’architetto Alfredo Scalpelli, già incaricato per il Piano di Ricostruzione della zona, un progetto di massima che prevede lo spianamento (intendiamo “tabula rasa”) della sommità della collina, per sostituire al forte la nuova chiesa parrocchiale di S. Maria ad Martyres, assumendosi il Comune l’onere per l’acquisto e l’allargamento delle strade a nord e a sud (l’attuale lungomare, ex linea ferroviaria, e la S.S.18).

Scalpelli redige il progetto di sistemazione urbanistica dell’area, discutibile anche sul piano formale, con un edificio più prossimo ad un’aviorimessa che a una chiesa, affiancata da lotti di edilizia privata su suoli di proprietà del padrone indiscusso della D.C. locale Carmine De Martino. Sulle aree della prevista lottizzazione, donate poi da De Martino alla Curia, sorgerà nel 1970 la nuova chiesa, affidata ai Padri Minimi. Moscato intanto invia il progetto Scalpelli al ministro delle Finanze Giulio Andreotti con l’offerta di acquisto. Siamo nel 1957 e la pratica come d’incanto, dopo quattro anni di stagnazione, si sblocca. Non vogliamo infliggere ai nostri lettori l’elencazione tediosa delle decine di atti tra Demanio, Curia e Comune, che monsignor Bergamo scrupolosamente riporta nel suo volume, ed arriviamo direttamente all’atto di acquisto della Carnale, fissato in 4.600.000 lire, datato 31 marzo 1962. In precedenza la Curia salernitana, avendo ricevuto in dono i suoli della S.E.C.E.R. di De Martino, decide di destinare questi alla futura costruzione della chiesa e nel 1960, in previsione del prossimo acquisto, incarica l’architetto romano Ildo Avetta di redigere un nuovo progetto per la Carnale, ispirato da Luigi Gedda (diventato poi famoso nel 1970 con i Comitati Civici per il referendum contro il divorzio). Il progetto Avetta supera ogni pensabile fantasmagoria, con uno sfolgorante grattacielo di 22 piani e una rampa di accesso degna di un raccordo autostradale o della coeva edilizia collinare napoletana. La destinazione d’uso del mastodonte è elencata, con titolo di vincolo assunto dalla Curia, nell’atto di acquisto: centro assistenziale caritativo per minorati e vecchi bisognosi , scuola di perfezionamento per medici condotti e cappella per i ricoverati.

È stato certo un caso provvidenziale per la Polveriera, per il rispetto dovuto a quelle mura, che le casse della Curia Arcivescovile non consentissero l’attuazione di quel Cottolengo fuori scala e fuori luogo, perché le autorizzazioni c’erano tutte. Oggi la Carnale vive il suo secondo declino, dopo che da qualche anno, gestita la struttura polifunzionale degli anni ’90 da una società privata convenzionata con gli enti affidatari Azienda di soggiorno e turismo - E.P.T, si era ridotta a poco più di una discoteca. E’ di questi giorni la notizia che il bene è tornato nella completa disponibilità dell’A.A.S.T.- E.P.T. (enti peraltro commissariati per le procedure di scioglimento come stabilito dalla Legge Regionale n.18/2014) per scadenza della convenzione, non rinnovata. Alla luce di queste novità si ritorna a parlare nelle sedi politiche e istituzionali di includere la Carnale nel “piano per il rilancio del turismo congressuale, culturale e ludico”. Incrociamo le dita, perché il valore della Carnale non risiede nei 7 milioni di euro di stima dell’Agenzia del Territorio: è un pezzo di storia urbana, e, come il Duomo o il castello di Arechi, non può servire alla movida.

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