CARTA GIALLA

Alessandro Cutolo, un affabile oratore

Il napoletano curò per la Rai un programma in cui rispondeva alle lettere dei telespettatori

«La storia non ha mai insegnato niente a nessuno, altrimenti non ci troveremmo nei guai in cui ci troviamo». Ci imbattiamo per caso in questa frase, solo all’apparenza banale e generica, che ha invece una valenza universale, buona per ogni stagione e purtroppo spesso convalidata dai fatti, mentre, al contrario, siamo letteralmente inondati da “previsioni” azzardate, raramente confermate, queste, dai fatti. Accade perciò che si trascuri ciò che è prevedibile ampiamente per quanto è già avvenuto, subendone le inevitabili conseguenze. Esempi abbondanti di questa forma di stupidità ne abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni, come quello visto di recente, dove - in tempo di epidemia - gli stessi soggetti che con zelo si astengono dal partecipare a cerimonie religiose e civili, si accalcano poi di sera, fino a notte, per consumare l’irrinunciabile rito della bevuta di massa. La frase appena citata, che mostra tanta sfiducia negli insegnamenti della storia e dei fatti, non fu pronunciata da uno spirito materialistico o privo di tensioni ideali, ma proprio da uno storico, un accademico, professore ordinario di storia medievale all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” e di bibliografia e biblioteconomia all’Università Statale di Milano, direttore nel 1957 del mensile “Historia”, e persino, negli anni della maturità e della vecchiaia, divulgatore televisivo e attore: Alessandro Cutolo (1899 -1995).

Chi si ricorda del garbato professore, col garofano all’occhiello, la parlata napoletana, e della sua rubrica “Una risposta per voi”, che andò in onda negli anni della giovane tivù ? Approdato quasi per caso, nel 1954, alla televisione di Sergio Pugliese vi rimase fino al 1968 e fu il primo grande affabulatore e divulgatore della televisione di stato, ricevendo centinaia di lettere ogni giorno, con quesiti della più varia natura, offrendo sempre una risposta, per quanto possibile sintetica e chiara. E quando il quesito esulava dalle sue conoscenze il professore Cutolo aveva il suo gesto: alzava le mani, con un sorriso dicendo «so di non sapere» e, interpellato un esperto, ne riportava il parere. I tanti pedagoghi venuti dopo e quelli che adesso, quotidianamente, sparano, per pura ignoranza, le loro fesserie “semplificate”, come l’assessore alla Sanità milanese Gallera che “spiega” lo Rt 0,51 o l’inesistente Eracleonte da Gela di Luca Zaia, tutti costoro avrebbero di che apprendere, e faticare, da questa verità di fondo: complicare le cose o dire fesserie è sempre facile, semplificare è difficile. Naturalmente non si vuole qui fare l’elogio della semplicità a tutti i costi, negando che esistono cose e fatti complessi per loro natura. No, e questo lo sapeva bene il professore Cutolo, nei suoi tanti scritti di storia e di bibliografia: che non si confonda la semplicità con il semplicismo, perché spesso spiegazioni apparentemente semplici sono soltanto delle banalità, preconcetti o stupidi luoghi comuni. A giustificare invece l’esigenza di semplicità e chiarezza espositiva di problemi anche complessi, nell’insegnamento come nella divulgazione, è il fatto che non solo l’informatica, ma tutta la scienza ha invaso la vita di una buona parte di noi abitanti della terra, e più la scienza incide e influisce sulla nostra vita, più essa si divide in branche specialistiche, dominate da cerchi ristretti di persone che parlano linguaggi incomprensibili ai più. Nasce quindi la necessità non solo culturale, ma etica e politica, di dirigere a tutti i soggetti coinvolti, al vasto pubblico, di cultura media o bassa che sia, spiegazioni dei fatti e dei concetti fondate su linguaggi semplici, che possano rendere familiari quelle cose a chi vi si avvicina.

Si tratta di un compito, di un lavoro difficile per gli scienziati, per i professori come per i giornalisti e i divulgatori. È in definitiva un esercizio di democrazia che contrasti la malizia e i trucchi dei poteri di casta, delle consorterie, di certi accademici e di certi politici, che si esprimono in maniera “complicata”, come fa la burocrazia che ci affligge ogni giorno, per nascondere truffe, privilegi, difetti, proprie deficienze di conoscenza o semplicemente per incutere timore e soggezione al resto degli umani. Parlare chiaro insomma, perché possa finalmente affermarsi, direbbe il professore Cutolo, che «lo stupido non è chi non capisce, ma chi non si sa spiegare». Per tornare sul nostro autore con qualche dato biografico, diremo che a Napoli, si laureò in lettere discutendo una tesi col grande storico Michelangelo Schipa e subito dopo vinse un concorso nell’Archivio di Stato napoletano, lavorando al fianco di Fausto Nicolini. Dopo la partecipazione alla I Guerra Mondiale, nel 1925, pubblicò a Napoli, un profilo biografico su Antonio Genovesi. Del giovane Cutolo abbiamo trovato, tra i fascicoli dell’Archivio Storico della Provincia di Salerno - A.III, (1923), n.4 - la recensione di un suo lavoro storico, quasi ignorato dalle bibliografie: “Il regno di Sicilia negli ultimi anni di vita di Carlo II d’Angiò” (Napoli, Società Editrice Dante Alighieri, di Albrighi, Segati e C. 1924), sul quale scrisse il recensore, Alfonso Potolicchio: «Il Cutolo, un giovane e diligente studioso e la sua recente pubblicazione, la quale, oltre i 99 documenti relativi agli ultimi anni di vita di Cario li, tratti dai Registri della cancelleria angioina, ha il pregio di essere stampata in accurata ed elegante edizione. La pubblicazione del Cutolo, condotta con serietà di metodo e grande accuratezza, è un contributo notevole alla più piena conoscenza dell’età angioina, in genere, e di quella dì Carlo II, in ispecie, intorno a cui si lamentava scarsezza di documenti. C’è da augurarsi che altri studiosi seguano l’ esempio del Cutolo». In quello stesso fascicolo della rivista salernitana il giovanissimo storico lo ritroviamo in veste di collaboratore e attento recensore. Alessandro Cutolo, tra le decine di volumi scritti sino alla vecchiaia, pubblicò tra le due guerre una fondamentale storia di Ladislao di Durazzo (Milano, Hoepli, 1936) e uno studio altrettanto prezioso, “Il Decurionato di Napoli 1807-1861” (Napoli, a cura del Comune, 1932), lavori insostituibili perché fondati su documenti dell’Archivio di Stato di Napoli, andati distrutti nell’inutile e criminale incendio appiccato dai tedeschi in ritirata nel 1943. La semplicità, lo stile leggero coniugato all’intelligenza e al sapere, sono un’arte molto sottile che Cutolo seppe ben usare, sia nei suoi scritti di storia che nel parlare al suo pubblico. Da lui, affabile e diretto nell’esposizione, apprendiamo una lezione fondamentale per l’oggi: occorre parlare chiaro alla gente, senza giri di parole o usando frasi melense d’occasione, e soprattutto adesso che la retorica, l’ipocrisia, le fesserie e l’ottimismo dell’apparenza dilagano ovunque.