LA STORIA

Abbro e il Consiglio dissero “no” a Totò

A Cava si trova il quadro di Camillo de Curtis avo del re della risata. Nel 1961 lo provò ad acquistare ma i politici s’opposero

CAVA DE' TIRRENI - «Nell’ampia e sontuosa sala consiliare del comune di Cava de’ Tirreni fra i numerosi ritratti ad olio in cornici dell’epoca di illustri cavesi che diedero onore alla popolosa città nei secoli scorsi, fra quello di G. B. Castaldo, maestro di campo e generalissimo dell’imperatore Carlo V, di Andrea De Rosa e Carlo Savino, insigni giureconsulti alla Somma Camera del Regno di Napoli, di Ido Longo, ammiraglio della Flotta di Federico II, spicca l’effigie di Camillo de Curtis, consigliere dei Regi collegi collaterali dapprima e presidente della Somma Real Camera poi». Questo l’incipit di un documento che tratteggia sinteticamente alcuni importanti e valorosi personaggi della città tra cui Camillo de Curtis. Il suo quadro è stato al centro di una querelle, 61 anni fa, tra Totò e l’amministrazione comunale dell’epoca presieduta dal sindaco per antonomasia della città, Eugenio Abbro. Il principe della risata avendo saputo dell’esistenza di questa tela incaricò l’Istituto Storico Araldico Genealogico Internazionale di Roma di contattare il Comune metelliano per il suo acquisto.

Ma il giureconsulto Camillo de Curtis era davvero un avo di Totò? La città si divide: c’è chi opta per il sì ma alcuni studiosi di storia locale ritengono che non vi sia alcuna rapporto di parentela di loro. Unica certezza la richiesta di acquisto dell’opera fatta da Totò tramite l’Isagi: era l’8 gennaio 1961 quando Pelliccioni di Poli, rappresentante dell’istituto araldico scrive una missiva a Pacifico Russolillo, segretario comunale dell’epoca. L’assise cittadina si tenne il 13 gennaio e parteciparono come si legge in delibera oltre al sindaco Abbro i consiglieri Adinolfi, Apicella, Baldi, Caiazza, Cammarano, Casaburi, Della Monica, De Pisapia, Di Domenico, Durante, D’Ursi, De Filippis, Esposito, Ferraioli, Formosa, Guida, Lambiase Aurelio, Carlo, Giuseppe e Raffaele, Lamberti Berardino e Giovanni, Milito, Musumeci, Pagliara, Panza, Perdicaro, Rispoli, Romano, Salsano, Sanità, Scarabino, Sergio, Sorrentino, Testardo, Trezza, Verbena e Avigliano. Unico assente Di Marino. Il diniego alla vendita del quadro di Camillo de Curtis è compreso nella sezione “Raccomandazioni”. «Il Sindaco - si legge testualmente - comunica che è pervenuta una lettera da parte di un rappresentante dell’attore De Curtis (Totò) per l’acquisto di un quadro che riporta l’effigie di un Suo antenato. Il sindaco dichiara che egli è contrario alla cessione. Il consiglio, all’unanimità, non aderisce alla richiesta del sig. De Curtis». A stretto giro di posta con una scarna missiva di tre righe del 16 gennaio (viene indicato sulla lettera l’anno 1960) ma trattasi probabilmente di un refuso: l’anno esatto è il 1961, il segretario comunale Pacifico Russolillo, comunica al rappresentante dell’Istituto Araldico al quale Totò si era rivolto per l’acquisto che «questo Consiglio Comunale si è dichiarato contrario alla cessione del quadro rappresentante l’antenato del Principe de Curtis».

Celebre la battuta dell’avvocato Domenico (Mimì) Apicella giornalista, politico, critico di arte e profondo studioso della lingua napoletana sulla mancata vendita del quadro: «Se Totò vorrà vedere il suo antenato, potrà recarsi ogni tanto a Cava; così anche i cavesi avranno il piacere di vedere lui di persona e non soltanto sullo schermo». Ma come mitigare quel “no” al “signor De Curtis” del 1961? L’idea fu di un periodico locale: Cavanotizie. Attraverso le sue colonne chiese all’allora sindaco Marco Galdi, di donare «una copia anastatica e incorniciata del quadro e di offrirla in una pubblica cerimonia a Liliana De Curtis, figlia di Totò». La cerimonia avvenne l’11 settembre 2013, 52 anni dopo il “gran rifiuto” del consiglio comunale, in occasione della serata finale del Premio Teatrale “Li Curti”, diretto da Geltrude Barba.

Francesco Romanelli