CARTA GIALLA

A Pasqua riti “senza tempo”

Bernardi ripercorre la Settimana Santa in Italia soffermandosi su Pagani ed Eboli

In questi giorni di vera e vissuta quaresima, abbiamo appreso che il vescovo di Nocera Inferiore - Sarno , monsignor Giuseppe Giudice, di fronte alla pandemia conclamata, ha sospeso tutte le cerimonie religiose della Diocesi, sino al 3 aprile. Salta così l’avvio dei festeggiamenti, a Pagani, per la Madonna delle Galline. Tra i tanti altri riti religiosi della Settimana Santa in Campania che potrebbero essere vietati, se non recede il contagio, c’è pure la processione dei “Paputi”, che si svolge per le vie del centro storico di Sarno all’alba del Venerdì Santo, quando da ogni chiesa partono le confraternite di incappucciati e sfilano per il paese, visitando le chiese in cui è allestito l’altare per l’adorazione dell’Eucarestia, e sostano cantando antiche preghiere e giaculatorie davanti al “Sepolcro”. Allo stesso modo potrebbero essere inibite o disertate le processioni del Cristo morto che si svolgono da secoli, a Sorrento, ad Amalfi, Maiori, Agerola e negli altri centri della Costiera Amalfitana, della Valle dell’Irno e del Cilento, e così in mille altri luoghi d’Italia, da Procida alla Sardegna, dalla Sicilia al Trentino: in caso di un rinnovato divieto di queste, si prefigura per questa Pasqua uno scenario desolante, mai visto sinora.

Per esorcizzare la nera eventualità decidiamo di parlare di un testo multidisciplinare di cultura storica, teatrale, religiosa e demo-etno-antropologica sui riflessi della liturgia cattolica nelle rappresentazioni sacre e nelle processioni a carattere drammatico che si svolgono in Italia, scritto da Claudio Bernardi: “La drammaturgia della Settimana Santa in Italia” (edizioni Vita e Pensiero, Milano, 1991). L’autore, attualmente professore associato e ricercatore di Storia del teatro e dello spettacolo all’Università Cattolica di Milano, si occupa da anni di drammaturgia del sacro nel teatro medievale italiano ed europeo dei secoli XIII e XVI, feste popolari e rituali performativi contemporanei. Siamo tutti ben consapevoli che, negli ultimi decenni, sulle attività pasquali di confraternite e comunità religiose, organizzate in alcune località da Pro Loco, amministratori locali e tour operator, grava un forte sospetto di “interessi turistici” prevalenti, ovvero - come sostiene Bernardi, partendo dal tema della Festa nell’Introduzione al volume - «la Pasqua del festivo, propagandato dall’immaginario televisivo e pubblicitario e attuato nei paradisi artificiali delle vacanze, nei nuovi paesi di cuccagna commerciali, nelle infinite proposte di divertimento e partecipazione del terziario, nella riscoperta e recupero delle feste tradizionali». Noi crediamo che non sarà mai possibile annullare il forte e storico legame identitario tra queste ritualità e rappresentazioni religiose con la storia urbana, politica e sociale di paesi e città italiane. Fa bene Bernardi a porre, nel suo studio - che ha l’estensione temporale di circa mille anni - la centralità dei riti della Pasqua, evento fondante come il Natale nella liturgia e nel calendario cristiano.

A giustificare l’ampio arco temporale della trattazione, Bernardi scrive: «Molte manifestazioni attuali della Settimana Santa in Italia vengono fatte risalire al periodo medievale ed era perciò necessario verificare l’autenticità delle origini. Altrettanto inevitabile era fermarsi sul periodo della Riforma cattolica poiché la maggior parte delle processioni drammatiche sembrano derivare dall’impostazione contro riformistica. Infine il costante richiamo alla liturgia della Chiesa primitiva da parte degli innovatori del Concilio Vaticano II richiedeva brevi cenni di delucidazione sulle modalità di celebrazione della Pasqua ebraica e della Pasqua dei Padri della Chiesa». Durante la settimana che precede la Domenica, la Passione di Cristo è rievocata, recitata, talvolta cantata o “declamata” nello spettacolo popolare, secondo modelli che traggono la loro origine dalle antiche rappresentazioni sacre.

Tutte queste forme rituali, liturgiche, paraliturgiche, teatrali, parateatrali, folkloriche, sono tuttavia affrontate separatamente dagli studiosi, ognuno secondo l’ottica esclusiva della propria disciplina: «Il folklorista ricerca i rituali popolari, lo studioso di teatro medievale l’origine del dramma liturgico, il liturgista le emergenze celebrative, ma con queste procedure è difficile cogliere la totalità della festa e la relazione delle parti con il tutto», non riuscendo, secondo l’autore, a cogliere l’intreccio costitutivo di rito e teatro insito in ogni memoria attualizzante della morte, passione e resurrezione di Cristo: «Si è cercato di dare un’idea della complessità festiva diversificando gli approcci e percorrendo tre diverse strade: una simbolica, una espressiva, una storica». Lo studio sulla Settimana Santa ha interesse quindi per la ricchezza dei temi sacri drammatizzati, come i sepolcri del Giovedì Santo, le Passioni, il Pianto della Madonna ai piedi della croce, gli apparati scenografici della deposizione, la processione del Cristo morto, l’incontro tra Cristo Risorto e la Madre, come pure per i tanti riti, spettacoli e manifestazioni artistiche al contorno, senza dimenticare le tradizioni gastronomiche proprie della Pasqua. Alcuni riferimenti storici a Napoli, all’area campana e a quella salernitana sono nel volume: la Domenica in Albis a Somma Vesuviana con la Madonna del Castello, a Pagani con la Madonna delle Galline, la processione e il corredo delle “tammurriate”. Il rito del Venerdì Santo è ricordato a Calvanico: «Sul gran catafalco, sepolcro di Cristo, stava la turba dei Giudei. Alla fine della predica delle tre ore di agonia l’oratore esclamava: “Mirate, ecco quel Cristo, che voi avete ucciso!”. In quel momento usciva dalla sacrestia la bara parata a lutto con il Cristo morto; ai lati stavano quattro angeli abbrunati con veli neri in capo e ceri in mano. Accompagnavano la bara altri angeli, ognuno dei quali portava un’asta alla cui cima erano affissi emblemi della Passione il sole splendente, il sole coperto da una nuvola, la luna di colore rosso; la croce con la scala, i dadi. L’arrivo della bara segnava il culmine della predica e dell’emozione».

Nel recente passato a Eboli, dove «fin verso la metà del secolo era in vigore una solenne commemorazione della Passione che si teneva nella notte del Giovedì Santo, più tardi spostata all’alba. La popolazione veniva svegliata dal suono di una tromba e di un tamburo scordato. Al suono degli stessi strumenti usciva la processione delle 18 barette dei misteri, plastici in cartapesta della Passione: Giuda sospeso al sambuco, circondato da fanti romani con fiaccole di pece; Gesù in orazione nell’orto, confortato dall’Angelo, Gesù morto, nella bara, l’Addolorata. Le barette erano precedute da un gruppo di guerrieri romani a cavallo. Durante la processione, che durava non meno di 10 ore, si cantavano canzoncine, accompagnate dalla musica, composte dal parroco di Eboli. Per gli alti costi la processione si teneva ogni cinque o sei anni». Non mancano poi, nel libro di Bernardi, ampi riferimenti bibliografici alla tradizione degli studi di ambito meridionale, tra i quali i testi di Roberto De Simone e di Annabella Rossi.