Musica

Wesseltoft a Pellezzano per i dieci anni di “New conception of jazz”

Hub Music Project: il pianista e compositore norvegese in concerto nel complesso dell’eremo dello Spirito Santo

SALERNO. Il pianista e compositore norvegese Bugge Wesseltoft sbarca a Pellezzano, nel complesso museale dell’eremo dello Spirito Santo (venerdì 22 luglio - ore 22, prezzo del biglietto 15 euro) per celebrare, nella settima edizione dell’Hub Music Project, i dieci anni di quel manifesto sonoro che è stato l’album “New conception of jazz”. Un disco che spezza definitivamente i legami con l’ortodossia e consegna al jazz una prospettiva più ampia. Se nel ’96 quel disco rappresentò un esperimento sonoro, che fece storcere il naso ai puristi, dieci anni dopo quei suoni sono già ampiamente digeriti. Ma il merito di quelle registrazioni è quello di avere aperto una strada nuova al “concepimento” del jazz. Dove l’elettronica conferisce al suono una sonorità altra.

Quella di Bugge Wesseltoft è una musica che oggi è un passo oltre a quel nu-jazz dove spesso vengono incasellati i suoi lavori discografici. Per chi è abituato al linguaggio musicale della casa discografica di Monaco di Baviera, l’Ecm di Manfred Eicher – che in Europa ha spinto una nuova grammatica jazz – quella di Wesseltoft apparirà solo come musica contemporanea, moderna, a tratti audace, altre volte rarefatta, che pesca in quella poetica tipica del profondo Nord. È chiaro che l’elettronica – usata anche sul piano ritmico – conferisce alla musica una forte connotazione di genere. Alla stessa maniera delle cose fatte da musicisti come Edwin Aarset, Ilhan Ersahin, Erik Truffaz, solo per citarne alcuni, che dalla fine degli anni Novanta si sono imposti sulla scena con una nuova disciplina sonora nella quale si tiene fortemente conto dell’aspetto melodico e dove certa improvvisazione rimanda alla mente il Coltrane degli anni Sessanta e sul piano ritmico, al Davis di “Doo bop”. Insomma un melting pot che frulla di tutto. E dal vivo Wesseltoft esplora, sperimenta.

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Certo è difficile superare certe barriere culturali. Per molti la sua musica è solo elettronica.

Roba insomma da dj. E anche se le “macchine” nel jazz hanno oramai raggiunto una diffusione ampia, per molti resta roba easy. Eppure questa musica per energia e dinamicità, non è poi così differente dal jazz tradizionalmente inteso. Anche se qui, i solo, non sono infiniti. Ma brevi, intensi, spesso inesistenti. In una concezione – in questo la modernità – che tiene conto più dell’insieme, dello sviluppo del brano, della sua progressione, delle variazioni. Per questo, è il singolo brano stesso a divenire improvvisazione. Un po’ come nei piano solo di Jarrett, dove la traccia diventa poi una terra libera.

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