la manifestazione

Violenza sulle donne, Salerno si mobilita. Le storie di percosse e di riscatto

Tutti gli appuntamenti in programma in città e in provincia in occasione della sedicesima edizione della giornata nazionale

SALERNO. Per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla tematica della violenza sulle donne, sono state organizzate molteplici iniziative tra Salerno e provincia in occasione della sedicesima giornata internazionale dedicata proprio a questo delicato tema. Si va da Salerno a Mercato San Severino, da Pellezzano a Eboli e all'Agro nocerino-sarnese.

In occasione della manifestazione nazionale, "la Città" racconta due storie di violenza e poi di riscatto, due storie vissute da due donne che hanno trovato il coraggio di reagire e adesso provano a essere di esempio per le altre, le troppe altre che ancora soffrono.

La prima storia è quella di Tina Galano, 36 anni, salernitana, che ha deciso di raccontare la sua esperienza allo scopo di poter essere di aiuto per altre donne che sinora, magari, non hanno trovato il coraggio di denunciare. «Ho subito violenza psicologica per circa tre anni da una persona che conoscevo, una persona che io all’inizio non reputavo capace di tale comportamento» racconta Tina. Per diverso tempo, ammette, non si rese conto di quello che stava accadendo. «Venivo offesa, male apostrofata, non riuscivo a stare serena a causa di questa persona, che faceva leva sulle mie debolezze e in questo modo mi metteva in una condizione di sudditanza». Una situazione che, dopo due anni e mezzo, a giugno del 2014, assume purtroppo anche dei risvolti fisici, oltre che psicologici: «Ho iniziato a perdere i capelli e le unghie non mi crescevano più - racconta Tina - Ho avuto un dimagrimento eccessivo perché non mangiavo, non riuscivo a parlare con alcuno di quanto mi stava accadendo e nessuno sembrava accorgersi del mio disagio».
La donna si rivolge quindi ad un medico e decide di riprendere in mano la propria vita: «Non è una cosa bella perdere i capelli soprattutto per noi donne. L’autostima era ormai compromessa sotto ogni punto di vista. Non ne potevo più, dovevo reagire». La persona che l’aveva manipolata mentalmente inizia purtroppo anche a pedinarla sino ad una vera e propria aggressione, verificatasi lo scorso marzo: «Sono stata aggredita e purtroppo mi ha sottratto il telefonino. A quel punto ho detto basta, dovevo mettere fine a questa situazione ». Tina Galano si reca quindi dai carabinieri: «Mi sono rivolta ad un avvocato e ho fatto una diffida, da quel giorno le persecuzioni sono finite. Non entro nel merito della vicenda in quanto ci sono ancora indagini in corso». Il risultato più importante è però già stato ottenuto: «Da allora ho ripreso a vivere, esco tranquillamente, ho ripreso in mano la mia vita». Di certo, questa vicenda l’ha segnata: «Per mesi sono stata senza il cellulare e non volevo averlo, perché mi riportava a quell’episodio. A volte ho ancora degli incubi, ho parlato con una psicoterapeuta e mi ha detto che è una normale fase di post trauma». Tina Galano ha aggiunto: «Ho deciso di metterci la faccia affinché altre persone che hanno subito violenza psicologica possano trovare il coraggio di denunciare».
Una storia finita bene: l’auspicio è che ci siano sempre meno storie di persecuzioni da raccontare.

 

La seconda, invece, riguarda Grazia Biondi, che ha denunciato il marito (ora sotto processo) accusandolo di mortificazioni e botte. Alla fine lei ha avuto il coraggio di mettere la parola fin. Ma ricominciare non è mai semplice.

«Da circa tre anni - racconta - ho ricominciato a vivere dopo oltre nove anni di prigionia. Ho iniziato un percorso difficile ma non impossibile ed oggi, se sono qui, non è per gridare all’ingiustizia, ma nella speranza che il mio messaggio arrivi a chi ha bisogno di capire che non è sola, che il suo sentire è il mio sentire che il suo dolore è il mio dolore». Quindi, Grazia si fa avanti perchè la sua storia sia da stimolo ad altre donne vittime di violenza affinchè abbiano il coraggio di ribellarsi e di uscire dal tunnel nel quale si sono infilate.
«Inizialmente - spiega - pensi che accettare tutto sia la soluzione migliore per superare i problemi e le ingiustizie, praticamente un adattarsi per non soccombere. Pensi che possa essere la soluzione giusta per sopravvivere ad un’esistenza ingiusta che premia i disonesti e i malvagi, ma poi ho capito che se ti abitui ad un’ingiustizia diventi ingiusto anche tu. Ed io non ci sto».
Quando si capisce che è giunto il momento di dire basta, altre difficoltà possono insinuarsi sul cammino. «La realtà dei tribunali per molte vittime di violenza è difficile - ammette - spesse volte nel momento in cui denunciamo siamo lasciate a noi stesse. Le forze dell’ordine, come tanti giudici, non sempre sono pronte a queste forme di emergenza. Forse anche loro, come noi, sono soli; altri, ad onor del vero, li ho trovati indifferenti e forse anche impreparati. Questo mi porta ad esprimere un’amara considerazione: molte volte la vera ingiustizia non viene da chi delinque, ma da chi dovrebbe tutelarci e farci sentire protette».
Non ha paura di denunciare Grazia. Così come non ha paura di ammettere quanto tutto quello che ha accaduto l’ha resa anche molto più dura. «Posso ormai superare forme di dolore senza battere ciglio - racconta - ho avuto un ottimo maestro. Ogni giorno intensificava le sue torture ed ogni giorno acquisivo un metodo di sopportazione al dolore fisico e psicologico. Mi sono dovuta ricostruire come si fa con una casa travolta da un uragano o da un terremoto e ho dovuto cercare tra le macerie quella parte di me sopravvissuta al disastro. Ed oggi sono ancora qui con un sorriso ironico e sarcastico che mi segna il viso e penso: ce l’ho fatta? E scopro che questa considerazione è la più grande iniezione di autostima della mia vita e comincio ad urlare, a sentire la mia voce. Non come una risposta al dolore, ma solo come un grande grido di libertà e mi ripeto: è finito il tempo del silenzio ma è finito anche il tempo del dolore».