«Villacaro fece uccidere Petrone» 

La Corte d’Appello conferma l’ergastolo al capoclan e i 30 anni al killer D’Andrea

Le dichiarazioni spontanee che ieri mattina Vincenzo Villacaro (detto Ciro) ha volto renderea i giudici non sono bastate, neanche stavolta, a evitargli l’ergastolo. Anche per la Corte d’Assise d’appello fu lui a ordinare, nell’agosto del 2007, la morte di Fabio Petrone, freddato sulla moto poco dopo l’uscita autostradale di Baronissi mentre rientrava a casa della sorella. I giudici di secondo grado hanno confermato per l’ex capo clan la condanna all’ergastolo, lasciando inalterati anche i trent’anni di carcere a cui è stato condannato, in abbreviato, il killer Vincenzo D’Andrea. Sono le stesse condanne che i due sodali avevano già incassato per l’omicidio di Donato Stellato, divenute definitive pochi mesi fa con il passaggio in giudicato in Cassazione. E all’assassinio del minore dei fratelli “papacchione” è legato a doppio filo quello di Petrone. «Un omicidio in prevenzione» lo ha definito il pubblico ministero Rocco Alfano nel corso della requisitoria in Corte d’Assise, spiegando che l’obiettivo di quel delitto fu di evitare che Petrone avviasse una collaborazione con la giustizia, raccontando quello che sapeva dell’agguato avvenuto davanti al Tribunale in corso Garibaldi. Secondo la ricostruzione degli inquirenti lui stesso aveva avuto un ruolo in quel delitto, aiutando i killer D’Andrea e Villacaro a disfarsi della motocicletta. Poi, però, i vertici del gruppo criminale avevano iniziato a dubitare di lui. In quei mesi l’amico Walter Castagna si era “pentito” (scelta poi ritrattata) e negli ambienti della criminalità si temeva che lui potesse fare lo stesso. Era uno sbaglio, «perché i fatti – ha ricostruito la Procura – dimostrano che Petrone non aveva intenzione di collaborare». Tuttavia Villacaro ne era preoccupato e ordinò di ammazzarlo «per chiudergli la bocca». D’altronde la stessa vittima temeva per la sua vita e per questo aveva deciso di lasciare per qualche tempo Salerno trasferendosi dalla sorella a Baronissi.
Una ricostruzione che alla Direzione distrettuale antimafia è stata confermata nei dettagli dal collaboratore di giustizia Ciro De Simone, su cui non a caso ieri mattina si sono ancora una volta concentrate le dichiarazioni di Villacaro. Prima che i giudici si ritirassero in camera di consiglio ha provato a minarne l’attendibilità, ribadendo di non sapere nulla non solo dell’agguato a Fabio Petrone ma anche di quello in cui fu ucciso Donato Stellato. Anche ieri, come già in primo grado, i giudici non hanno creduto né a lui né a D’Andrea. E adesso per i difensori Massimo Torre e Antonio Boffa resta l’unica strada del ricorso alla Corte di Cassazione. (c.d.m.)
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