Villa Ricciardi e i suoi giardini rappresentano un “unicum”

La tipologia del fabbricato si distingue dagli altri che caratterizzavano la zona Domani l’acquerello del conte Carrara che ne “fotografa” la facciata

Nell’uscita di domani, l’acquerello in omaggio con “la Città” mostra ancora una veduta di Villa Andrea Ricciardi, ma questa volta si tratta di un prospetto frontale, che ne mette in evidenza l’impianto architettonico completo e la volumetria, con focus anche sugli ampi e lussureggianti giardini, ricchi di piante esotiche. La villa, dipinta dal conte Domenico Carrara martedì 10 novembre 1915, anche se sostanzialmente diversa da come appare oggi per le ristrutturazioni che l’anno interessata nel tempo, si trova all’imbocco sud della tangenziale a Santa Margherita. Nell’immagine del secolo scorso, la dimora, strutturata su due piani, si presenta con un aspetto classicheggiante, con grandi finestroni che al piano terra s’aprono sul giardino. Quest’ultimo, che nasconde la reale profondità dell’edificio, si presenta ben curato, con aiuole che recano ciascuna al centro un albero o un’esotica palma.

«Edifici, spazi verdi, campi agricoli, piazze, torrioni, l’artista pare interessato a tutti gli elementi del paesaggio – spiega il pittore salernitano Eugenio Siniscalchi, che ha già commentato un altro acquerello del conte, quello su Largo Caduti Civili di Brescia – Pur nella diversità dei soggetti, però, c’è una incredibile coerenza stilistica, più che acquerelli sembrano disegni, pastelli, con la stessa tavolozza di colori».

La villa si ergeva in una zona dove i fondi agricoli si alternavano a casa padronali e dimore. «La natura fisico-morfologica del terreno e la forma storico economica assunta da questa area – scrive Mario D’Elia nel libro su Domenico Carrara – si è naturalmente riflessa nella struttura, nella forma, nelle funzioni e, complessivamente, nella tipologia delle costruzioni e delle dimore, rurali, signorili e borghesi, insediatesi».

La tipologia in questione appare qui tutta peculiare, distinguendosi da altre caratterizzazioni dell’hinterland salernitano, come nel caso della vicina Valle dell’Irno, dove invece: «dal 1824 si impiantarono parecchie residenze-fabbriche (che nel caso dei cosiddetti “Casini svizzeri” raggiunsero l’espressione più alta e organica di complesso residenziale-industriale autogeno), nella piana di Salerno si trovavano in maggioranza masserie e ville, anche di grande prestigio formale, abitate stabilmente o temporaneamente dai proprietari che organizzavano lo sfruttamento agricolo dei terreni circostanti, a coltura mista cerealicola e arborea, attrezzati in modo da consentire anche l’allevamento del bestiame (suini, bovini, pollame e qualche mandria di bufale allo stato brado). Il seminativo conviveva con giardini e frutteti (maggiormente vite e olivo), e solo di recente era stato soppiantato dall’agrumeto».

Paolo Romano

©RIPRODUZIONE RISERVATA