«Vennero sul cantiere con i mitragliatori»

Pagani, il costruttore Persico racconta le minacce subite dai Petrosino. Atteso il verdetto del Riesame

PAGANI. Il Riesame ha già rigettato le rispettive istanze presentate per la loro scarcerazione, confermando i gravi indizi di colpevolezza raccolti dalla procura antimafia, che li ritiene al comando del clan. Antonio e Michele Petrosino D’Auria, il primo nel ruolo di boss, al comando dell’ala militare, in grado di imporre estorsioni e decidere, il secondo a fare da raccordo con la politica, fotografato ad appuntamenti elettorali in locali pubblici con gli amministratori paganesi, sono i capi.

A quanto riferisce l’ultimo collaboratore della Dda, Alfonso Persico, i loro ruoli si sono sovente scambiati, a partire dai primi anni del Duemila.

“Michele è stato sempre presente – riferisce il costruttore paganese sottoposto a programma di protezione – un giorno, era il 2002, mi chiama Chicco Sforza e dice, vedi che c’è Michele Petrosino, ti vuole parlare. Andiamo in un posto, verso Casa Farina, mi trovo sotto un portone, sopra la Cappella. Ci sono due soggetti, c’è Michele Petrosino e altri due signori. Lui mi fa – Alfò, tu stai costruendo, vedi che qui devi cacciare la tangente- io dissi che costruivo per la prima volta. Michele mi disse che per il cantiere, di sedici appartamenti avrei dovuto pagare il pizzo. Per me ci potevamo uccidere, io non pago nessuno. Così gli dissi. Posso anche morire ma non pago. Dissi a Chicco Sforza, “tu, amico mio, mi porti in pasto ai leoni?”.

“Il giorno dopo – continua Persico – dove io stavo lavorando con i miei operai, vennero tre persone con pistola e mitraglietta e fecero uscire le persone da un altro cantiere vicino, fecero scappare tutti. Eravamo in via Corallo, io stavo sul tetto, vidi tutta la scena, stavo a cento metri. I miei operai mi chiamarono. Sicuramente erano persone vicine a Michele Petrosino, questo è assodato. Il giorno dopo che Michele Petrosino ha chiamato”.

Il racconto di Persico prosegue. “Antonio non c’era, era in carcere, poi fu arrestato Michele e uscì Antonio. Poi uscì il padre, Gioacchino. Ma i figli avevano interesse imprenditoriale. Loro volevano un costruttore, avevano capito che i soldi si facevano con le costruzioni. Una volta avuto a disposizione un costruttore, e avendo anche i soldi, era il circuito che volevano”. Il ruolo di Antonio, secondo Persico richiesto continuamente dai politici in occasione di appuntamenti elettorali, si nutriva di un carisma criminale fuori dal comune. Ora, con i due in carcere, il riesame deciderà per le posizioni dei politici e per quelle delle seconde linee del clan.

Alfonso T. Guerritore

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