Salerno

Vecchie carceri, nuove proposte anti-degrado

La Soprintendenza lancia l’idea di una collaborazione tra i vari enti pubblici. Obiettivo: il recupero di ex conventi e edifici storici abbandonati da decenni

SALERNO. Per il recupero delle vecchie carceri, e più in generale del centro storico alto, occorre guardare a una «nuova frontiera». L’architetto Giovanni Villani, braccio destro della soprintendente Francesca Casule, non ha dubbi. Perché, spiega, i vincoli sono fondamentali, «ma senza soldi non si cantano messe, dunque la sinergia tra gli enti ed eventualmente i privati, è indispensabile».

Architetto, c’è un’ampia fetta della città dove regna ancora il degrado, con edifici come le vecchie carceri e palazzo San Massimo, che rappresentano una cifra identitaria importantissima per la storia di questa città.

«Conosco bene la situazione perché la vivo tutti i giorni. Il nostro ufficio è proprio in via Tasso e la scelta di trasferirci qui non è stata affatto casuale».

Cosa intende?

«Ritengo fondamentale che si crei una comunione con il circostante, il che non è sempre facile, anzi. Ma l’obiettivo della nostra convivenza, anche con tessuti sociali complessi, è quello di portare la cultura, l’amore per l’arte, il rispetto per la propria storia. La missione dei beni culturali in fondo è questa, creare una sorta di elevazione, anche perché il degrado chiama il degrado: se contestualmente all’architettura non si riqualifica anche il tessuto sociale, non si ottengono grandi risultati. In questo senso la nostra presenza è propedeutica a continuare, anche se lentamente, il recupero di questa porzione di città. Per certi versi abbiamo fatto da apripista e qualche risultato c’è stato anche se la strada è ancora lunga».

Gli antichi conventi sono ormai trasformati in pattumiere a cielo aperto. Totalmente abbandonati da decenni, fatta eccezione per i tossicodipendenti che approfittano del buio e dell’assenza dei controlli per drogarsi. Recuperarli è possibile?

«Potrebbe essere possibile se si riuscisse a creare un comitato di enti pubblici con il Comune e la Curia, che pure è proprietaria di diversi edifici in questa zona della città. Da soli, sia Palazzo di Città che la Soprintendenza, non possono intervenire, anche perché occorre sfatare un luogo comune».

Prego.

«Nel momento in cui valutiamo che un edificio è sottoposto a vincolo, significa che quell’edificio ha un pregio, un valore storico o architettonico. Ma non significa che dobbiamo essere noi a intervenire per recuperarlo, perché il restauro è in carico al proprietario, che in questo caso è il Comune. Dopodiché è anche vero che per effettuare un lavoro di restyling così imponente servono risorse ingenti, che oggi gli enti pubblici non hanno. Quando parlavo di sinergia mi riferivo esattamente a questo: unendo le forze, si può partecipare con dei validi progetti a dei bandi europei. Noi lo abbiamo già fatto, presentando delle idee a mio avviso ancora molto attuali, per salvare antichi edifici di culto, come la chiesa di San Filippo Neri o quella di Santa Maria de Alimundo, ma la Regione non ha mai preso in considerazione le nostre proposte. Il valore complessivo degli interventi era di 4 milioni e 950mila euro. Non ci facciamo scoraggiare: vediamo ora che succede con il Por 2014-2020».

C’è stata però una fase in cui i fondi per il centro storico alto e le vecchie carceri c’erano: quelli di Piu Europa, che però furono stornati su altri interventi, tra cui la riqualificazione di Santa Teresa e la ristrutturazione di palazzo Fruscione.

«Si tratta di scelte politiche: si è deciso di privilegiare interventi anzichè altri. Questo non significa che anche il resto del patrimonio non vada recuperato».

Il presidente dell’ordine degli architetti Maria Gabriella Alfano ritiene ancora validi i progetti risultati vincitori nell’ambito del concorso internazionale di idee per gli Edifici mondo. Progetti restati in un cassetto da quasi vent’anni.

«I progetti andavano utilizzati. Fare i concorsi e non sfruttare quelle idee, soprattutto se tese al recupero di un bene storico, è una cosa imperdonabile».

C’è chi ha proposto di farne oggi residenze universitarie. «Credo che l’idea sia buona, perché in generale la presenza dei giovani nei centri storici, ma più in generale nei vari quartieri della città, serve a creare nuova linfa, a rivitalizzare quei famosi tessuti urbani e sociali di cui parlavo prima».

E una facoltà di Architettura?

«Su questo sono più scettico: c’è davvero bisogno di una facoltà di Architettura a Salerno? Avremmo tantissimo da fare, in Italia, per il recupero del costruito, ma purtroppo tanti freschi laureati sono costretti a espatriare».

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