Usura, contro Scarano si costituisce in aula solo la commercialista

Rinunciano l’imprenditore Marcianò e il medico I motivi dell’assoluzione a Roma: «Ingannato da Zito»

C’è soltanto la commercialista Tiziana Cascone a costituirsi parte civile nel processo che vede monsignor Nunzio Scarano imputato per usura. Al dibattimento, per il quale era fissata ieri mattina la prima udienza, non parteciperanno invece le altre persone individuate dagli inquirenti come parti offese: l’ex amico Massimiliano Marcianò e il medico che ha sposato una nipote del prelato. Eppure sono quattro (per un totale di 120mila euro) le dazioni di denaro per le quali il pubblico ministero Elena Guarino contesta a Scarano i reati di usura o di esercizio abusivo del credito. Si parte dai 40mila euro prestati alla commercialista Tiziana Cascone (che si è affidata all’avvocato Carmine Giovine per il risarcimento del danno), per arrivare ai 20mila dati al medico in due tranche da 10 mila e ai 50mila finiti sul conto dell’associazione “Terra mia” di cui è rappresentante Sergio Piperata, uno dei tre indagati per il furto nell’appartamento del sacerdote e socio di Marcianò. In alcune telefonate intercettate dalla Procura, monsignor Scarano sosteneva che quei soldi dati in prestito erano frutto di un mutuo con lo Ior, e spiegava di dover rientrare entro scadenze tassative per non pagare penali. Ma per l’accusa era tutta una sceneggiata, che serviva a lucrare interessi dai debitori.

Ieri l’avvio del processo si è fermato per un difetto di notifica a Marcianò, che tuttavia ha già deciso di rinunciare alla costituzione di parte civile. E sempre ieri sono giunte dal Tribunale di Roma le motivazioni della sentenza di primo grado che ha assolto il monsignore dall’accusa di corruzione, condannandolo solo per calunnia. La vicenda è quella dei 20 milioni che nell’estate del 2012 si cercò di far rientrare dalla Svizzera a bordo di un aereo privato, e che secondo le indagini appartenevano agli armatori salernitani Paolo e Cesare D’Amico, da sempre legati a Scarano. Soldi che gli imprenditori avevano affidato al broker Giovani Carenzio e che dovevano tornare in Italia con l’aiuto dell’agente segreto Giovanni Zito, conosciuto dal sacerdote nel corso di iniziative dei “Cattolici in movimento”. I giudici hanno stabilito che il reato di corruzione non è configurabile, perché lo 007 non poteva essere considerato un pubblico ufficiale e l’attività che aveva promesso non era connessa al ruolo ricoperto. «Zito ha tratto in inganno anche Scarano – si legge nella sentenza – quando ha detto che era nelle sue possibilità fare atterrare l’aeromobile privato in un aeroporto militare». E ancora: «È solo l’ingenuo sacerdote Scarano a ritenere Zito quale un soggetto particolarmente qualificato in quanto appartenente ai servizi segreti, mentre a ben vedere si è rivelato solo un soggetto capace di vendere bene le sue qualità vere o presunte tali a un sacerdote che non può conoscere certe dinamiche».

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