Una perizia psichiatrica per monsignor Scarano

Il tribunale ha disposto l’accertamento sulla capacità di stare in giudizio Secondo una consulenza il sacerdote non è in grado di comprendere la realtà

Sarà una perizia psichiatrica a dire se monsignor Nunzio Scarano è in grado di stare in giudizio e se il processo contro di lui può continuare o deve essere fermato. Lo ha deciso ieri il Tribunale (presidente Ubaldo Perrotta, a latere Mariano Sorrentino ed Enrica Cioffi), prendendo atto di una consulenza medica in cui il prelato è ritenuto in condizione di non comprendere la realtà. La relazione porta la firma dello psichiatra Antonio Zarrillo ed era stata depositata dal difensore Silverio Sica a sostegno dell’istanza di revoca degli arresti domiciliari, accolta dai giudici pochi giorni fa. Dopo aver rimesso Scarano in libertà il Tribunale si chiede ora se quella consulenza, stilata dal responsabile del Dipartimento di salute mentale di Salerno, non descriva una situazione tale da pregiudicare la capacità dell’imputato di stare in giudizio e di difendersi, innescando nel processo per riciclaggio una mina che potrebbe portare sino all’annullamento in Cassazione. Il rischio – ha sottolineato il presidente Perrotta – sarebbe quello di celebrare nei confronti del monsignore un processo nullo. Per questo è stata attivato l’articolo 70 del codice di procedura penale, secondo cui quando “vi è ragione di ritenere che, per infermità mentale, l’imputato non è in grado di partecipare coscientemente al processo, il giudice, se occorre, dispone, anche di ufficio, perizia”.

L’incarico sarà conferito il 23 aprile al neuropsichiatra Antonello Crisci. Ma l’avvocato Sica ha avvertito che l’accertamento non sarà facile, perché pari che l’imputato rifiuti il dialogo e ogni tipo di collaborazione ad accertamenti di tipo psicologico, tant’è che lo stesso Zarrillo si sarebbe prima limitato a descrivere uno stato depressivo e solo poi, in seguito ai test di Rorschach, si è spinto fino a un giudizio di limitazione delle capacità cognitive. Secondo chi gli è vicino il prelato giungerebbe a deliri mistici, su cui avrebbe influenza sia la sua pregressa esperienza nel “Gregge” (il gruppo di preghiera che finì in conflitto con l’allora arcivescovo Gerardo Pierro) che la frequentazione con fra Elia, al secolo Elia Cataldo, che non è frate ma ha fondato in Umbria il convento degli Apostoli di Dio e dichiara la comparsa delle stimmate. Scarano avrebbe per lui una sorta di venerazione, e non è un caso che il suo nome compaia nelle carte dell’inchiesta romana sul tentativo di far rientrare dalla Svizzera venti milioni di euro attribuiti agli armatori D’Amico. È a lui che don Nunzio aveva destinato un milione di quelli recuperati oltralpe, perché li utilizzasse per la ristrutturazione del convento. Una circostanza che è al vaglio della Procura capitolina e potrebbe integrare il capo d’imputazione del processo a cui Scarano è sottoposto a Roma. È stato il gup che doveva decidere sull’abbreviato dei presunti complici Giovani Carenzio e Giovanni Zito a rimettere gli atti agli inquirenti, specificando che se corruzione vi fu non è da ricercarsi nei 400mila che l’agente segreto Zito ottenne dal monsignore (ritenuti un rimborso spese per il viaggio aereo in Svizzera) ma proprio nella promessa di consegnare un milione di euro al mistico di Calvi dell’Umbria.

Il 9 giugno fra Elia sarà tra i testi nel processo di Roma, insieme a Cristina D’Amico. Sulle sue visioni e sulle presunte stimmate, la Chiesa ha intanto sospeso il giudizio.

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