Un tesoro da “riciclare”

Tanti vecchi edifici sono in stato di abbandono, ma potrebbero diventare una risorsa

È possibile riciclare una città? Come? Chi deve prendere parte alla delicata operazione di ripristino e riqualificazione di quei luoghi che, con le loro mura diroccate, con i loro anfratti impolverati e i loro spazi ormai inutilizzati da tempo, rappresentano la storia dimenticata di una comunità? A Salerno ce ne sono tanti di posti del genere, bellissimi e preziosi, e oggi, grazie al convegno organizzato in Provincia da “Pop Hub” - progetto di ricerca vincitore del bando Smart cities and social innovation nell’ambito del Pon “Ricerca e competitività” 2007-2013 per le Regioni dell’obiettivo convergenza - si cercherà di focalizzare l’attenzione su come intervenire per dar loro un’altra chance. L’obiettivo è rivoluzionare la maniera di vedere e di intendere il patrimonio dismesso di Salerno, trasformandolo in una risorsa. Sulla piattaforma on line e mobile creata in collaborazione con il collettivo di architetti “Punto di vista” una piccola e sicuramente non esaustiva mappatura degli “scarti urbani” salernitani è già stata fatta grazie anche alle segnalazioni giunte dai cittadini ansiosi di vedere i luoghi della loro infanzia, o di quella dei loro nonni, tornare a vivere magari diventando centri di aggregazione, sale espositive, musei o, perché no, nuove attività commerciali.

Al momento, ma dopo il convegno di oggi ci si augura che le segnalazioni possano moltiplicarsi, sono undici gli spazi o gli edifici salernitani dismessi (tanto pubblici che privati) che compaiono sulla mappa, bel lungi dall’essere completa, visitabile sulla piattaforma realizzata da Pop Hub. Nella lista rientrano tanto luoghi storici come Palazzo San Massimo, nel centro storico alto, e la Torre Angellara, alle porte a sud della città, ma anche negozi e botteghe inutilizzati da tempo, alcuni dei quali parte di quel patrimonio immobile del Comune messo in vendita nel 2012 senza successo. Di quest’ultima categoria fanno parte, ad esempio, i locali di via Ciro Menotti, a Sant’Eustachio; i negozi di via di Ogliara 55, i depositi di piazza del Maestrale, in località Monticelli e quelli al pianoterra di un edificio storico in via Mercanti 59, nel cuore della parte antica della città. Ma a punteggiare la mappa, in cui ogni luogo segnalato ha la sua foto e la sua descrizione, sono anche l’ex Ostello della Gioventù in lungomare Tafuri, a Torrione, l’ex scuola elementare Mariele Ventre in via Guglielmo Pepe, a Mariconda, i capannoni dell’ex fabbrica Marzotto in via Generale Clark o i tanti metri quadrati su cui sorgevano le cotoniere Mcm, a Fratte, dove però la riqualificazione è già in atto anche se procede a rilento. In via Porta Catena, poi, a due passi dal rione Fornelle, il caso più eclatante, ma a segnalarlo non è Pop Hub bensì coloro che agli inizi del 2000 cercarono di creare nell’ex auditorium San Giovanni di Dio un centro di aggregazione culturale, il Laboratorio Diana, grazie a una convenzione stipulata con il Comune, ente che però qualche anno dopo li sfrattò con la promessa di fare del suddetto luogo una sorta di polo della creatività. Che non è mai stato realizzato: «Dopo anni di attività culturali e con il quartiere - racconta Daniele Bagnoli, al tempo giovanissimo membro del collettivo che gestiva il laboratorio - lo spazio è stato requisito dal Comune con il pretesto di nuovi progetti ma da allora è rimasto chiuso. A seguito di quell’episodio realizzammo anche una prima mappatura e un video documentario, “Odissea negli Spazi”». Ma ci sono sempre più zone, da Santa Teresa al porticciolo di Pastena, dai Picarielli al laghetto di Brignano, che rischiano di perdere il legame con i cittadini ed essere privatizzate o cementificate. «Altri spazi, dal cinema Astra alle ex carceri, passando per l’ex Ostello della Gioventù e l’ex Marzotto, che continuano invece ad essere abbandonati a se stessi, restando improduttivi per decenni in attesa del migliore offerente, o - conclude Bagnoli - della decadenza dei vincoli per costruire palazzi».

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