Un’odissea di 20 giorni per fuggire dall’orrore

Sulla Etna anche 80 palestinesi, molti sono scappati dalla Striscia di Gaza Ventitrè sono stati trasferiti a Campobasso e 55 sono ospiti ad Acerno

SALERNO. Quando si definiscono “viaggi della speranza” le vere e proprie traversate delle migliaia di migranti che partono dall’Africa e dalle zone limitrofe per raggiungere l’Italia, probabilmente ci si avvicina solo tangenzialmente a ciò che essi affrontano prima di toccare terra e di assaporare un sorso d’acqua pulita. Viaggi lunghi ed estenuanti che a volte impongono a questi esseri umani il pagamento di un prezzo troppo alto perché per mille approdi c’è sempre una percentuale di morti in mare.

Ieri a Salerno, fra gli oltre 2mila migranti accompagnati dalla nave della Marina Militare Etna, c’erano anche un’ottantina di palestinesi, soprattutto famiglie, in fuga dalla Striscia di Gaza. Ed è stato il loro racconto consegnato non senza reticenza ad alcuni mediatori culturali, a restituire la cifra dello scempio che si consuma in quel piccolo lembo di terra. Un racconto fatto anche di speranza per un futuro migliore, non tanto per loro, quanto per i bambini che hanno cercato di sottrarre a una guerra che di giusto non ha nulla. Mischiati fra libici, eritrei, ghanesi, somali e magrebini, i palestinesi stavano stretti fra loro, accettavano acqua e cibo, si facevano visitare ed hanno chiesto ai volontari, che cercavano di aiutarli, di stare insieme. Prima di arrivare in Libia, il punto di raccolta loro indicato dove hanno incontrato chi li ha successivamente portati in acque italiane, hanno affrontato un viaggio di diversi giorni con mezzi di fortuna, facendo anche lunghi tratti a piedi, sotto il sole e senza cibo né acqua, con il rischio perenne di essere intercettati e portati indietro. Non necessariamente vivi. Il viaggio che gli viene proposto costa mille dollari a testa, circa novecento euro, racimolati per mesi, nei casi delle famiglie per anni ma di rassicurazioni sull’arrivo neanche l’ombra. Vengono caricati come bestie sull’imbarcazione, sulla quale non c’è spazio per tutti ma alternative non ce ne sono: chi non vuol viaggiare in quel modo può anche scendere, ovviamente senza rimborso. Inizia così una traversata che dura mediamente fra venti e trenta giorni e guai a chiedere se la meta è vicina. Si viaggia in silenzio, se i bambini piangono vanno zittiti e se qualcuno non sta bene, fa meglio a non farlo presente. I giorni passano e alla fine i militari italiani li traggono in salvo, vengono messi al corrente del fatto che non scenderanno in Sicilia, che sembra così vicina, devono proseguire per arrivare a Salerno dove gli sarà riservata accoglienza. Una volta approdati faticano a parlare, hanno paura che qualcuno li veda interagire con le persone che a terra gli tendono una mano, temono di essere incolpati di aver fatto la spia su quelli che potevano diventare i loro aguzzini, anche se erano travestiti da salvatori. Poi vengono portati al coperto, lontano da occhi indiscreti e allora si fanno coraggio e iniziano a raccontare i tremendi giorni che hanno preceduto l’approdo. Raccontano che loro in Italia non vogliono starci. La meta è soprattutto l’Europa del nord, dove sperano di ricongiungersi con qualche parente partiti prima di loro. Ora 23 palestinesi sono a Campobasso in una comunità d’accoglienza mentre i restanti 55 sono ospiti ad Acerno della Casa Arcivescovile.

Carmen Incisivo

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